In difetto di una scelta fondamentale – Etica Economia Ecologia.

In difetto di una scelta fondamentale, che deve essere di natura etico-politica-culturale, gli sforzi sono condannati a disperdersi, a contraddirsi.

Non crediamo si debbano privilegiare i risultati economici nel valutare lo sviluppo della qualità della

vita. Non ci accontentiamo perciò di un’economia sospinta e bilanciata secondo le risorse materiali, compati­bile con la pura logica del profitto.

Siamo certi che “sviluppo sostenibile- sia quello che non contraddice lo sviluppo sociale, nella giusti­zia nel rispetto della realtà geografica e culturale e secondo equità. La nostra volontà sorretta dalla morale cristiana, non può non indirizzarsi verso questo difficile ma concreto obiettivo, il quale ha, per l’appunto, valenza ecumenica.

Concordo, quindi, con quanti affermano che dovrebbe attrarre di più la nostra attenzione l’impatto potenziale e reale dell’etica e dei valori sociali sui processi decisionali, che non l’impatto che la nostra civiltà ha sul mondo esterno.

Altri asserti a nostro avviso importanti riguardano la necessità di intendere la legge non secondo la deforma­zione odierna che ne fa minuziosi (e spesso non chiari) “regolamenti comportamentali”, ma come assunto etico dotato di “generalità e astrattezza” indicativo di un contenuto programmatico. in sostanza la vera legge è definizione di un perché non indicazione di “come” e di “quanto”. Sotto questo aspetto potremmo inputare al nostro apparato legislativo, in quanto mediocre filiazione a dei codici napoleonici, di essere più lontano dall’origine romana di quanto non sia l’apparato legislativo germanico, fondato sulla riflessione della filosofia del diritto, e, finalmente, quello britannico, il solo considerabile “romano” in cui neppure la costituzione ha un suo testo privilegiato. Giusto riconoscimento dei valori di tradizione e di libertà che fanno grande la legge.

Un simile modo, o se si preferisce un ritorno al grande modo romano originario, di concepire la legge è essenziale, a mio avviso, per stabilire un contesto etico-filosofico-politico aperto allo studio e all’inserimen­to delle “mete ultime della società umana …[a] un’interpretazione “teleologica” (finalista) o per “ultimas causas” come usavano dire gli scolastici.

La “comprensione” del problema ambiente viene prima della “soluzione” del problema inquinamen­to.

Le applicazioni, ad es. al caso di un fiume inquinato, delle concezioni finora chiarite sono altrettanto precise quanto la affermazione della mancanza di una “strategia sociale” della chiesa (a causa del prevalere della prassi sulla “doctrina” e dei limiti dell’orientamento antropocentrico tradizionale spesso responsabile di “un atteggiamento distruttivo dell’ambiente”). Sul piano della elaborazione teorica pesa negativamente il non aver voluto studiare in forma globale la “comprensione del problema mondo”. Si è dimenticato il Leibnitziano “scientia quo magis speculativa magis practica”.

Abbiamo di fronte i nefasti di una politica e di una economia degradate a pratica e questo vale anche per l’ecologia verdista, leghista, ambientalista, rimozionista (una rimozione estesa dal rifiuto al malato croni­co). Per queste vie si è rifiutata” l’etica della terra”.

L’uomo “sociale- è invece oggi quello che semte di fare parte consapevole di una “comunità di orga­nismi”. Occorre saldare processo cognitivo e processo educativo in una “significazione globale” se si vuole raggiungere l’intelligenza (intus legere) della realtà e consentire alle parti di convivere armonicamente in funzione dell’insieme.

LA CONFERENZA DI RIO.

A Rio si sono riuniti per quindici giorni, nel mese di giugno 1992, 170 capi di stato e di governo (molti, secondo machiavelli, che pone pari a quattordici il limite di una assemblea se si vuol pervenire a sagge decisioni) per discutere sullo stato del pianeta e concordare una strategia per la salvaguardia dell’ambiente globale. L’impresa era ambiziosa. Gran parte degli scopi previsti è stata mancata. soprattutto non si è riusciti a dimostrare che l’ambiente deve esser un protagonista dei negoziati internazionali, sul quale riversare, in chiave di compatibilità” e sviluppo sostenibile, i problemi della cooperazione fra nord e sud, fra paesi ricchi e quelli della compagine ex sovietica, oltre a quelli in via di sviluppo e ai più arretrati.

Tuttavia, la dichiarazione di Rio è un vero e proprio codice di condotta ambientale, ha infatti stabilito:

– l’uomo è al centro dello sviluppo sostenibile;

– gli stati hanno sovranità sullo sfruttamento delle proprie risorse e non devono causare danni all’ambiente dei paesi confinanti;

– l’eliminazione della povertà è il primo requisito per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile;

– debbono essere ridotti e portati a graduale eliminazione i processi produttivi antiecologici;

– deve essere migliorata la ricerca delle tecnologie pulite;

– devono essere perfezionate le politiche demografiche.

Manca, purtroppo, un progetto gnoseologico ed etico ma va sottolineata l’importanza della cosiddetta “agenda 21”, la quale costituisce il primo master plan dell’ambiente globale. A essa dovrà riferirsi ogni futuro trattato in materia ambientale.

“L’agenda 21” contiene le linee guida per la tutela delle acque interne e degli oceani, dell’atmosfera, del suolo, delle foreste; per lo smaltimento dei rifiuti; per il trasferimento delle tecnologie di produzione com­patibili fra le aree privilegiate del mondo e le arretrate; per il finanziamento dei progetti ambientali.

Gli altri due strumenti approvati a Rio sono la convenzione sul clima e la convenzione sulla biodiversità.

La prima indica l’obiettivo della stabilizzazione e riduzione delle emissioni di anidride carbonica e de­gli altri gas a effetto serra. La medesima convenzione legittima la decisione della Cee di stabilizzare le proprie emissioni di CO2 entro il 2000, ai livelli del 1990. L’importanza della convenzione sulla biodiversità sta nello stabilire, per la prima volta, il dovere di salvaguardare la complessità delle specie viventi fissando criteri per lo sfruttamento del patrimonio genetico e biologico a fini industriali. La sua efficacia è stata però indebolita dal rifiuto del presidente americano di firmarla.

È noto che l’attuale ministro italiano dell’ambiente, non andò a Rio, in qualità di commissario Cee al­l’ambiente, dichiarando che “optando per l’ipocrisia non si salverà la terra”. il nostro ministro rilevava infatti che a Rio era aperta la porta alle illusioni di salvaguardare lo sviluppo pur senza ridurre i consumi e gli sprechi energetici; che in particolare l’atteggiamento degli Usa è basato sul mantenimento di uno stile di vita contrario alle esigenze di uno sviluppo sostenibile, in quanto richiede un eccessivo dispendio energetico. “Noi, invece – egli ha dichiarato in quell’occasione – siamo convinti che la crescita economica costante, la difesa dell’occu­pazione, non siano affatto incompatibili con la protezione dell’ambiente; anzi, soltanto in questo modo sarà possibile colmare il divario fra nord e sud”.

Un’ultima riflessione spinge a sottolineare il peso che ha, in materia di protezione ambientale e di sviluppo durevole o sostenibile, la responsabilità individuale, ossia di ognuno di noi singolarmente preso.

Non vi è dubbio che piani e strategie spettino agli stati; che l’opera di indirizzo e promozione tocchi alle più diverse forme associative; e che, in questa particolare ottica, si debbano promuovere le attività di volontariato e le azioni di coordinamento, che sono appunto una delle dominanti del nostro movimento. ed è altrettanto certo che il popolo dell’abbondanza è moralmente tenuto a fare cambiamenti nello stile di vita; al­trimenti, quello sviluppo economico che molti chiamano globale. Sottintendendo che deve essere program­mato. Non avrà nulla a che fare con l’attuazione della giustizia e quindi non sarà, compatibile con la finalità generale del comunicare e del partecipare risorse e servizi.

Ridurre le iniquità attuali, garantire il diritto allo sviluppo e, contemporaneamente, all’ambiente sano, è una questione di determinazione morale. Dobbiamo riordinare la società perché l’unica famiglia umana pos­sa perseguire il bene comune. Per questo dobbiamo cominciare, ognuno dall’interno della nostra coscienza morale, a ripensare gli stili di vita. I problemi sembrano troppo grandi perché un individuo li affronti da solo; ma in realtà sappiamo che è possibile cambiare, cominciando dalla singola persona umana e dalle scelte che essa compie. Occorre respingere le scelte condizionate da bisogni creati artificialmente e promossi da inte­ressi commerciali o dai mezzi di comunicazione di massa.

Il concetto di sviluppo sostenibile non va impiegato per giustificare ogni sorta di progettualità sociale ed   economica, creando scenari futuri che hanno assai poco di credibile e di scientifico.

Esistono, l’ho abbiamo già accennato, obiettivi concreti e degni di esser presi in considerazione dai singoli, benché, poi, non possiamo -essere raggiunti senza scelte politiche fondamentali o che impegnino la respon­sabilità delle classi dirigenti di ogni Paese, avanzato o no.

Individuare alcuni di questi scopi, da far valere nell’immediato, risponde a un imperativo etico preciso: anzi, si fa morale ambientale sul serio unicamente individuando i temi dell’operatività anche globale e gnoseo­logica, da mettere in conto a tutti, fin da questo preciso momento.

In questa sede mi limiterò a qualche esempio, puntando su cose evidenti, che non esigono particolari

giustificazioni e spiegazioni.

Vale il principio “chi inquina paga”; si può quindi volere che l’attuale fase di negoziazione dell’accor­do internazionale Gatt sugli scambi commerciali, includa la valutazione dell’impatto ambientale.

Si deve pretendere che le industrie e aziende multinazionali adottino standard ambientali globali.

Bisogna adottare, in accordo con il settore privato, piani nazionali per il trasferimento di tecnologie.

Si deve pretendere l’estensione capillare dei rilevamenti, o monitoraggi, delle principali variazioni de­gli ecosistemi. a mio avviso, tanto un’area urbana, quanto una soggetta a desertificazione, deve essere tenuta

costantemente sotto controllo, poiché gli interventi di salvaguardia, contenimento e sviluppo, integrabili tra loro, come già detto, non possono partire che dalla conoscenza diretta e in tempo reale dei fattori di cambia­mento.

Non posso che rivolgere ancora per un momento lo sguardo ai risultati delia conferenza di Rio.

Essi ap­paiono deludenti se presi in esame settorialmente; ma nell’insieme il summit della terra, ha fatto acquisire agli stati e agli operatori economici che non può esservi sviluppo senza protezione ambientale, e che non avranno successo economico le imprese che non faranno dell’ecologia uno dei pilastri delle loro strategie.

Pertanto, Rio deve essere considerata come il punto di partenza per una nuova etica, che impegni per un di più di solidarietà, sia dei popoli tra di loro, sia fra uomini e natura. tale solidarietà va articolata rispettan­do le diversità culturali e le tradizioni locali, anche se i principi di fondo da individuare e da rispettare debbono essere il più possibile comuni, universali.

Oltre venti anni fa, alla conferenza di Stoccolma, si andò ripetendo che solamente un’azione collettiva, strategica­mente orientata, avrebbe potuto contrastare il degrado ambientale, visto come minaccia diretta dello sviluppo economico e culturale. Nei tempi più recenti, finita la guerra fredda e diminuite le spese militari, cresciuto il numero dei governi ispirati a democrazia, ci siamo trovati anche a riaffermare i diritti dell’uomo mentre il libero mercato avanza nel mondo. Purtroppo attualmente tale scenario è venuto meno a causa del conflitto Russo-Ucraino, provocato dall’aggressore sovietico e che interessa tutto il mondo. Sembra quindi venuto il momento di far valere un nuovo accordo mondiale, un concreto “contratto sociale” a favore della Pace e dello sviluppo, incentrato sui valori della persona e della umanità tutta.

Non basta, “rispettare” l’ambiente: ogni conservazione va attuata in una prospettiva di trasformazione tenendo conto che i problemi che siamo chiamati a risolvere non sono meramente materiali. al tempo stesso, in un mondo divenuto in pochi decenni molto più piccolo, nel quale l’informazione, sia generica che specia­listica, si moltiplica di ora in ora, si vanno modificando i ruoli dello stato e dei suoi corpi intermedi, mentre invecchiamo rapidamente le forme della cooperazione internazionale fin qui praticate.

Fa parte altresì dei nostri obblighi morali l’attenzione a tutti gli effetti, nessuno escluso, dell’avan­zamento scientifico e tecnologico; anzi incombe l’obbligo di non disancorare la ricerca naturale dalle finalità dell’uomo. Tanto più che la società dei consumi procede senza che la logica del mercato e dei profitti sia

canalizzata verso scopi in armonia con i contenuti della fede.

La enciclica “Centesimus Annus” ci invita a considerare che mai più di adesso la dimensione etica e spiritua­le deve trasfigurare l’ordine politico ed economico, se si vuole ottenere uno sviluppo autentico, cioè quello che rifiuta la disoccupazione e la miseria come strutture del benessere altrui, che si oppone alla riduzione dei meccanismi di protezione sociale, che denuncia la diseducante urbanizzazione selvaggia e lo spreco delle risorse non rinnovabili.

Il Dissesto Idrogeologico

Il Movimento Azzurro si è proposto sulla scena del mondo ambientalista ormai da un trentennio, fondato dall’onorevole Gianfranco Merli, sincero democratico e cattolico impegnato in politica,  professore e  studioso molto serio ed avveduto,  proprio per porsi con un modo nuovo di fare politica per la tutela ambientale  praticare ambientalismo vero.

Da ambientalisti di morale cristiana ci siamo voluti porre sullo scenario dell’ecologismo italiano, come movimento di proposta, un movimento che non sfugge anche alla critica o alla polemica quando queste siano opportune per evidenziare guasti, ma che non cerca la ribalta della cronaca esclusivamente per condannare. Stiamo purtroppo assistendo a questo modo inconsulto di fare ambientalismo ormai da troppi anni, le scene della ribalta sono aperte solo per poche organizzazioni che ormai si sono tramutate in tutt’altro che associazioni di volontariato.

Le cifre riguardanti i fenomeni di dissesto idrogeologico nel nostro Paese, rappresentate nel tempo dal Dipartimento della Protezione Civile, sono relative agli ultimi ottant’anni, ma sono state presentate sul finire dell’attività del Dipartimento della Protezione Civile alla Camera; esse ci parlano di oltre 5.400 alluvioni  e 11 mila frane ed indicano il rischio idrogeologico secondo solo a quello sismico tra i rischi naturali che affliggono il nostro Paese.

Un altro dato è certo: negli ultimi venti anni i problemi del dissesto idrogeologico si sono aggravati causando danni per oltre 30 mila miliardi e centinaia di vittime.

Le cause sono state enunciate numerose volte da esperti e da rappresentanti del mondo ambientalista.

Non è un caso che il fenomeno del dissesto idrogeologico si sia aggravato negli ultimi venti anni, tale è infatti il tempo sopravvenuto all’abbandono da parte dello Stato delle politiche per il territorio e dell’azione di manutenzione dello stesso attraverso la diretta realizzazione di opere di difesa idraulica. Durante gli anni 70 dello scorso secolo, lo Stato ha delegato parte dei propri compiti alle Regioni, dapprima con il DPR 11 del 1972, poi con la grossa delega del DPR 616 nel 1977.

Contestualmente a questo trasferimento di competenze è venuta meno la politica nazionale e l’interesse verso la tutela del territorio in Italia, così come sono venute meno la politica forestale e la politica regionale in agricoltura. Negli ultimi anni si è proceduto solo a cambiare le denominazioni dei Ministeri e delle competenze ad essi conferite. Il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, una volta Ministero di primaria importanza economica,  è divenuto prima Ministero delle risorse agricole e forestali, materie queste devolute alle Regioni, poi altre modifiche ad ogni cambio di governo, fino ad arrivare all’attuale Ministero dell’Agricoltura e della “Sovranità alimentare”?? le Foreste sono scomparse dalla intestazione ministeriale e non si comprende se vi sia un raccordo sulla materia tra le attuali “competenze delle Regioni” e quelle dello Stato, che a questo punto non ne ha più, non ravvisandosi alcun riferimento al patrimonio forestale italiano in alcuno dei dipartimenti ministeriali.

Questa politica forestale risulta in perfetta continuità con quella del governo Renzi che nel 2016 riuscì a sopprimere il Corpo Forestale dello Stato, una benemerita Amministrazione Statale che ha operato negli scorsi due secoli, per la tutela e salvaguardia del patrimonio forestale italiano e la difesa del suolo attraverso la realizzazione di opere ingegneristiche tese alla conservazione, tutela e miglioramento della rete idraulico-forestale del Paese.

Tale sciagurata opzione, ha costituito la spallata finale per il totale abbandono del presidio istituzionale, nei secoli scorsi, posto a salvaguardia del territorio italiano attraverso le circa milleduecento Stazioni Forestali, esistenti sul territorio italiano.

Ci vogliono livelli di responsabilità differiti e non basta che i Ministeri centrali preposti a queste materie esercitino un coordinamento, che per altro è contestato, come nel caso dell’agricoltura, dalle Regioni, ma è necessario che lo Stato, attraverso il Parlamento, si riappropri della politica di indirizzo nazionale in materia di difesa del suolo, così come in materia forestale.

L’ambiente e il territorio, che è parte costitutiva di esso, non hanno confini amministrativi, non si possono proporre politiche ambientali per confini amministrativi; i bacini idrici, per esempio, non sempre coincidono con i limiti territoriali di un ente locale e la legge 183 del 1989, pur necessitando di un’ulteriore revisione, non trova oggi ancora definitiva applicazione. La radiografia del nostro Paese fornisce un quadro assolutamente allarmante, sia per il numero di avversità climatiche, che è stato ricordato, sia per la loro distribuzione sul territorio.

L’Italia risulta periodicamente colpita ed in misura crescente da alluvioni, inondazioni, straripamenti, frane e smottamenti, da eventi cioè che dimostrano il degrado ambientale e non solo del territorio medesimo, la sua fragilità ed insieme l’assenza di difese adeguate. Le indagini del servizio geologico nazionale hanno evidenziato che sono a rischio idrogeologico ben 4 mila e 600 Comuni, circa il 65% del territorio nazionale.       

In Italia il numero dei Comuni che negli anni tra l’ultimo decennio del 1900 ed il primo degli anni 2000  la frequenza delle frane e delle alluvioni è stata sempre maggiore, sono stati ben 1.500 i Comuni colpiti da alluvioni e più di 2.000 quelli che hanno subito danni, spesso molto ingenti, a causa di frane e di smottamenti.

I risultati prodotti fino ad oggi dalla legge 183 sulla difesa del suolo non sono da considerarsi soddisfacenti. La Commissione parlamentare Ambiente e Territorio, dove noi abbiamo anche riferito il nostro parere nell’indagine conoscitiva sul dissesto del territorio italiano, dice che l’analisi dello stato della pianificazione degli interventi, la disponibilità di risorse tecnico-scientifiche e di adeguati finanziamenti evidenziano le difficoltà di conseguire gli obiettivi, a suo tempo previsti, di prevenzione dai rischi alluvionali e di risanamento dal degrado di ampia parte del territorio nazionale.

Inoltre, l’impianto istituzionale della 183 risulta ampiamente disatteso, soprattutto in alcune zone del Paese e nessun piano di bacino, che è l’atto più significativo ed importante di programmazione dell’azione e degli interventi, è stato finora formulato in maniera completa. D’altronde il fatto che le norme vengono puntualmente tradotte in progetti ed atti efficaci dipende anche dalla conoscenza dei parametri fisici del territorio e dei fenomeni idrologici. Ugualmente dipende dalla tempestiva conoscenza degli stessi parametri la possibilità di evitare circostanze atmosferiche eccezionali e che queste circostanze atmosferiche si traducano in brutale distruzione di vite umane. 

Permane tuttora un grosso disordine, cioè una sovrapposizione nelle reti di monitoraggio dello Stato e delle Regioni, così come nei servizi cartografici che sono molte volte indipendenti tra di loro, pure nella possibilità che oggi le moderne tecnologie ci consentano di effettuare con trasparenza una interconnessione.

Tale situazione contribuisce alla totale mancanza di pianificazione degli interventi di difesa del suolo e ad un caos della programmazione economico-finanziaria da parte delle Regioni. Di tutte le opere di sistemazione idraulica realizzate fino agli inizi degli anni 70 pochissime hanno ricevuto regolari interventi di manutenzione, l’incuria ed il tempo hanno ad oggi vanificato l’esistenza di molte di esse.

Le cronache di questi giorni, come quelle degli anni scorsi, ci hanno indicato anche quanti miliardi si spendono normalmente in Italia per i soli interventi urgenti di risistemazione territoriale. Prevenzione, quindi, conviene anche in termini economici.

La prevenzione, come abbiamo visto, richiede investimenti, quindi spesa ed occupazione. E’ però una spesa che si può e si deve preventivare insieme alla pianificazione degli interventi. Bisogna affermare la necessità di una svolta seria e definitiva rispetto ad un atteggiamento del “tirare a campare” fino alla prossima frana; bisogna che lo Stato imponga da subito una seria direttiva per il monitoraggio del territorio.

Allora l’appello che vuole scaturire da questo convegno è rivolto alla classe politica perché affronti in maniera seria e definitiva il nodo delle competenze in materia di tutela e pianificazione dell’uso del territorio, anche se necessario nell’ambito delle riforme istituzionali, in modo da dare certezza ad un intervento che veda la responsabilità e l’indirizzo politico in testa allo Stato, come per altro avviene in altre nazioni europee, quali la Francia che nell’ambito dell’Unione Europea rappresenta, a nostro avviso, il migliore modello di Protezione Civile, ma anche di organizzazione statale in materia di politiche territoriali.

Questo modello naturalmente deve vedere l’ampio coinvolgimento delle Province in primo luogo e dei Consigli Regionali, deve salvaguardare la potestà programmatoria delle Regioni in riferimento alla spesa ed agli interventi, deve spingere il federalismo al pieno coinvolgimento delle autonomie locali con in primo luogo i Comuni per la realizzazione degli interventi e per il controllo del territorio in funzione previsionale e di prevenzione del danno.

Un appello è rivolto anche alla società civile e alle organizzazioni che la rappresentano. Serve, essere continuamente propositivi, mettere a disposizione le proprie competenze e vigilare come società civile sul fatto che si dia un seguito agli impegni assunti a vari livelli istituzionali, per migliorare organicamente l’organizzazione e la protezione territoriale in Italia, altrimenti iniziative come questa che stiamo svolgendo rimarranno fini a se stesse, improduttive ed allora sarà una sconfitta per tutti noi, non solo per gli sfortunati di turno che saranno coinvolti nel prossimo dissesto idrogeologico.

                                                                                                  Rocco Chiriaco

                                                                                   Presidente Nazionale Movimento Azzurro

22 Aprile ” Giornata Mondiale della Terra”

Earth Day: 22 aprile

Ogni anno, un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, il 22 aprile, viene celebrata La Giornata Mondiale della Terra, con l’obbiettivo di salvaguardare il pianeta e l’ambiente.

L’Earth Day è la più grande manifestazione ambientale del pianeta, che vede coinvolti ogni anno in tutto il mondo fino a 1 miliardo di persone in ben 193 paesi. Uniti insieme per celebrare la Terra e promuoverne la salvaguardia e la tutela.

Un po’ di storia

Nacque in America nel 1970, con la prima celebrazione il 21 marzo 1970, un anno dopo l’incidente ad una piattaforma petrolifera al largo di Santa Barbara in California, che causò la fuoriuscita di 10 milioni di litri di petrolio in mare, per 11 giorni. L’evento colpì moltissimo l’opinione pubblica, in particolare il senatore Gaylord Nelson che con il presidente John Kennedy si batteva già da qualche anno per l’istituzione di una giornata per sensibilizzare i cittadini sulle tematiche ambientali e celebrare la Terra.

Fu poi l’attivista per la pace John McConnell a proporre l’istituzione di questa Giornata nell’ottobre del 1969, durante la Conferenza dell’UNESCO a San Francisco; la Giornata Mondiale della Terra è stata poi riconosciuta nel 2009 anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha sottolineato l’importanza della responsabilità di tutti – grandi e piccoli – per raggiungere l’armonia con la natura e l’equilibrio fra i bisogni economici, sociali e ambientali.

La Coalizione Articolo 9 in pressing sul Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin sul DL accelerazione PNRR e Pianificazione aree idonee FER

La Associazioni della #CoalizioneArticolo9, che si adoperano affinché la diffusione nel nostro Paese degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili abbia luogo arrecando il minor danno possibile all’ambiente, alla biodiversità ed al paesaggio, chiedono un incontro con il Ministro Gilberto Pichetto Fratin per affrontare il nodo della pianificazione delle aree idonee e della semplificazione dei procedimenti autorizzativi.

Fino ad oggi, la realizzazione degli impianti eolici e fotovoltaici nel nostro Paese è avvenuta in assenza di qualsiasi pianificazione sul territorio. La loro ubicazione è stata di fatto lasciata alla libera scelta degli operatori del settore delle rinnovabili, anziché pianificata, come invece previsto dal Decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2018/2001/UE (c.d. RED II). Quest’ultimo infatti, prevede l’individuazione delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali …. nonché delle specifiche competenze dei Ministeri dei beni culturali e dell’ambiente, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate e aree non utilizzabili per altri scopi… compatibilmente con la disponibilità di risorse rinnovabili. Il Tale Decreto legislativo di recepimento, entrato in vigore il 15 dicembre 2021, anziché stabilire i criteri con i quali individuare le aree, rinviava tale fondamentale adempimento ad un successivo D.M. entro il 15 giugno 2022. Ad oltre un anno, il Ministero dell’Ambiente temporeggia e del D.M. non vi è traccia, malgrado gli annunci. Altrettanto urgente è l’attuazione del Regolamento europeo sull’accelerazione delle rinnovabili (in vigore il 1 gennaio 2023), con l’individuazione di “aree di riferimento” in cui realizzare gli impianti con le cautele ambientali e paesaggistiche in esso previste.

Ulteriore preoccupazione desta il fatto che il Governo si accinga a presentare un ponderoso D.L. per l’accelerazione delle procedure del PNRR.  Da quanto risulta dalle bozze circolate in questi giorni, tale strumento si concentra sulla stesura di farraginose disposizioni “semplificative” che, disattendendo ogni motivazione di carattere tecnico e culturale, puntano ad un’accelerazione “a tutti i costi”.Inoltre, nulla è dato riscontrare in esso riguardo all’obbligo di rispettare la clausola del “non arreca danno significativo”, imprescindibile per tutti gli interventi finanziati dal PNRR.

Un punto di equilibrio realmente sostenibile tra lotta al cambiamento climatico ed alla crisi energetica e tutela dell’ambiente, della biodiversità e del paesaggio si può trovare solo coinvolgendo tutto il mondo dell’ambientalismo italiano nell’elaborazione delle politiche e dando ascolto ai territori dove insistono gli impianti di produzione da FER.

Per la #CoalizioneArt. 9

Antonella Caroli, Presidente Italia Nostra

Aldo Verner, Presidente LIPU

Aldo Giorgio Salvatori, Presidente AIW – Associazione Italiana per la Wilderness

Adriana Giuliobello, Presidente Mountain Wilderness Italia

Carla Rocchi, Presidente Ente Nazionale Protezione Animali

Stefano Allavena, Presidente Altura

Rita Paris, Presidente Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli

Stefano Deliperi, Presidente Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Gianluigi Ciamarra, Referente CNP – Comitato Nazionale del Paesaggio

Massimo Livadiotti, Presidente Associazione Respiro Verde Legalberi

Maria Pia Guermandi – Coordinatrice Emergenza Cultura

Monica Tommasi, Presidente Amici della Terra

Donata Pacces, Presidente AssoTuscania

Franco Tassi, Coordinatore Centro Parchi Internazionale

Gino Scarsi, Presidente Associazione ‘Comitato Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori’

Alessandro Mortarino, Referente Forum Nazionale ‘Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori’

Renato Narciso, Segretario Generale L’Altritalia Ambiente

Rocco Chiriaco, Presidente del Movimento Azzurro

Dante Fasciolo, Presidente dell’Accademia Movimento Azzurro

CTCM Liberi Crinali – Comitato per la Tutela del Crinale Mugellano

Michele Boato, Presidente Ecoistituto del Veneto Alex langer

Vittorio Emiliani, Presidente Comitato per la Bellezza

per leggere la lettera: cliccare qui

Monitoraggio della contaminazione ambientale costiera nel litorale settentrionale del Golfo di Catania, tramite l’uso della specie bioindicatrice Mytilus galloprovincialis.

Monitoraggio della contaminazione ambientale costiera nel litorale settentrionale del Golfo di Catania, tramite l’uso della specie bioindicatrice Mytilus galloprovincialis.

1.0 Introduzione

I sistemi semi-chiusi delle aree marine costiere, specialmente le baie, i golfi, gli estuari e le lagune sono particolarmente sensibili alla contaminazione ambientale, soprattutto quella proveniente principalmente dalla costa a causa delle attività umane. Tali aree vengono generalmente indicate come “hotspots”, o punti caldi, e sono associate ad aree altamente urbanizzate o industrializzate (DEQ, 1998; WHO, 2012). Nelle aree così caratterizzate, un regolare monitoraggio ambientale tramite l’uso di specie bioindicatrici fornisce informazioni importanti per la comprensione delle risposte biologiche degli organismi.

I molluschi sono noti per essere ottimi bioindicatori della qualità ambientale in quanto non possiedono i meccanismi biochimici o fisiologici in grado di regolare le concentrazioni tissutali dei contaminanti. In questo modo, l’organismo scelto ha la capacità di concentrare le sostanze chimiche nei propri tessuti in maniera proporzionale al loro livello ambientale, ed in particolare i molluschi bivalvi essendo organismi sedentari e filtratori, concentrano i contaminanti ambientali dal sedimento, dal particolato sospeso e dalla colonna d’acqua (Laffon et al., 2006). Il monitoraggio mediante gli organismi filtratori fornisce quindi indicazioni alternative, o meglio complementari, a quelle dei sedimenti, soprattutto relativamente alla contaminazione della colonna d’acqua, rispetto alla quale i bioaccumulatori possono presentare concentrazioni superiori (Carro et al., 2004). Inoltre, l’analisi dei tessuti dei bivalvi consente di valutare la frazione biodisponibile dell’inquinante (Baumard et al.,1999).

Tramite il Mussel Watch Project negli USA (Farrington et al., 1983) sono stati sviluppati i primi piani di monitoraggio usando mitili per valutare gli andamenti nello spazio e nel tempo delle concentrazioni dei contaminanti nelle regioni di costa ed estuarine. Ad oggi il vasto impiego dei mitili in campagne di biomonitoraggio è dovuto alla loro resistenza, alla facilità di recupero e di impiego per gli esperimenti di biomonitoraggio (Nasci et al., 2002) e alla loro larga diffusione nella maggior parte delle zone costiere del mondo (Ortiz-Zarragoitia e Cajaraville, 2006).

Obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare il bioaccumulo di elementi in tracce in campioni di Mytilus galloprovincialis traslocati per periodi di 4 settimane in prossimità di aree portuali del litorale settentrionale del Golfo di Catania.

1.1 I Metalli

La contaminazione da metalli pesanti da tempo è sempre al centro dell’attenzione in tutto il mondo in generale e nei paesi in via di sviluppo in particolare.

Le molteplici applicazioni industriali, domestiche, agricole, mediche e tecnologiche di questi metalli hanno portato alla loro ampia distribuzione nell’ambiente, sollevando preoccupazioni sui loro potenziali effetti sulla salute umana, anche attraverso l’approvvigionamento alimentare, e sull’ambiente. La loro tossicità dipende da diversi fattori, tra cui la dose, la via di esposizione, le specie chimiche coinvolte, così come l’età, il sesso, la genetica, e lo stato nutrizionale degli individui esposti (Tchounwou et al., 2014)

Il termine “metalli pesanti” si riferisce a qualsiasi elemento metallico che ha una densità relativamente elevata e che risulta essere tossico anche a bassa concentrazione.

In particolare questo termine collettivo si applica al gruppo di metalli e metalloidi in cui si possono riscontrare le seguenti caratteristiche:

– densità superiore ai 5,0 g/cm3

– si comportano in genere come cationi

– bassa solubilità dei loro idrati

– spiccata attitudine a formare complessi

– affinità verso i solfuri (da metalli pesanti e intossicazioni)

Tra i metalli pesanti distinguiamo:

-Metalli essenziali, così chiamati perché esercitano funzioni biochimiche e fisiologiche nelle piante e negli animali. Essi sono importanti costituenti di diversi enzimi chiave e svolgono un ruolo importante in varie reazioni di ossido-riduzione; a questi appartengono il cobalto (Co), il rame (Cu), il cromo (Cr), il ferro (Fe), il magnesio (Mg), il manganese (Mn), il molibdeno (Mo), il nichel (Ni), il selenio (Se) e lo zinco (Zn);

-Metalli non essenziali, che non ricoprono funzioni biologiche elaborate e comprendono alluminio(Al), antinomia (Sb), arsenico (As), bario (Ba), berillio (Be), di bismuto (Bi), cadmio (Cd), gallio(Ga), germanio (Ge), oro (Au), indio (In), piombo (Pb), litio (Li), mercurio (Hg), nichel (Ni),platino (Pt), argento (Ag), stronzio (Sr), tellurio (Te), tallio (Tl), stagno (Sn), titanio (Ti), vanadio(V) e uranio (U) (Tchounwou et al., 2014).

Sebbene dunque alcuni di questi siano essenziali per il metabolismo, diventano tossici quando superano una certa concentrazione citoplasmatica. Le cellule sono in grado di percepire i cambiamenti nelle concentrazioni citoplasmatiche dei metalli e di coordinare l’espressione dei geni che sono coinvolti nell’assorbimento, nella distribuzione, nel sequestro e nell’utilizzo dei metalli. Gli effetti biotossici di molti di loro in biochimica umana sono di grande preoccupazione, vi è quindi la necessità di comprendere i corretti parametri, le concentrazioni e gli stati di ossidazione, che li rendono nocivi e il meccanismo attraverso cui si realizza la biotossicità.

E’ anche importante conoscere le loro fonti, le conversioni chimiche e le modalità di deposizione che derivano dall’inquinamento ambientale.

L’esame della letteratura inerente ci consente di comprendere che questi metalli vengono rilasciati nell’ambiente da processi naturali, dal momento che alcuni di questi sono costituenti della crosta terrestre e contaminano l’ambiente in

maniera persistente poiché non possono essere degradati o distrutti, e da fonti antropiche, in particolare dalle attività estrattive, industriali e dagli scarichi di automobili.

Attraverso i fiumi e i corsi d’acqua, i metalli vengono trasportati sia come specie disciolte in acqua (queste hanno un potenziale maggiore di causare effetti deleteri), sia come parte integrante dei sedimenti in sospensione contaminando in tal modo l’acqua proveniente da sorgenti sotterranee, in particolare dai pozzi. L’avvelenamento e la tossicità negli animali si verificano di frequente attraverso meccanismi di scambio. I metalli pesanti, una volta ingeriti, si combinano con le biomolecole del corpo, come le proteine e gli enzimi per formare composti biotossici stabili, mutando in tal modo le loro strutture ed ostruendo i normali processi fisiologici (Morais et al., 2012).

Nei sistemi biologici, i metalli pesanti sono in grado di influenzare organelli e componenti come la membrana cellulare, mitocondriale, i lisosomi, il reticolo endoplasmatico, il nucleo e alcuni enzimi coinvolti nel metabolismo e nella riparazione di danni cellulari. Gli ioni metallici inoltre interagiscono con componenti cellulari come DNA e proteine nucleari, causando danni al DNA stesso e cambiamenti conformazionali che possono portare a modificazioni del ciclo cellulare, a carcinogenesi e apoptosi (Tchounwou et al., 2014). In particolare i gruppi sulfidrici (SH), normalmente presenti negli enzimi che controllano la velocità delle reazioni metaboliche nel corpo umano, si legano facilmente ai metalli pesanti, costituendo un complesso metallo-zolfo che interessa tutto l’enzima il quale non può quindi funzionare normalmente, perdendo la propria funzionalità di catalizzatore.

Nell’uomo l’eliminazione di tali metalli avviene solo in minima parte (per salivazione, traspirazione, allattamento), causandone il bioaccumulo. I residui si accumulano negli esseri viventi ogni volta che sono assimilati ed immagazzinati più velocemente di quanto sono metabolizzati o espulsi. I metalli si concentrano in particolare in alcuni organi, danneggiandoli, come cervello, fegato, reni e nelle ossa, costituendo spesso un fattore aggravante o determinante in numerose malattie croniche. I bambini sono i soggetti più a rischio da esposizione al piombo, al mercurio e agli altri agenti tossici, poiché per unità di peso, mangiano, bevono e respirano tre-quattro volte più degli adulti. Considerando inoltre che la linea di demarcazione fra carenza alimentare di tali sostanze e tossicità è molto sottile, risulta evidente quanto sia importante conoscere la presenza e l’utilizzo di tali elementi nella vita quotidiana (Prasad et al., 2005).

Diversi studi hanno dimostrato che le specie reattive dell’ossigeno (ROS) e lo stress ossidativo giocano un ruolo chiave nella tossicità e cancerogenicità di metalli come arsenico, cadmio, cromo, piombo e mercurio. A causa del loro elevato grado di tossicità, questi cinque elementi si collocano tra i metalli con priorità maggiore per la sanità pubblica.

Secondo l’Agenzia statunitense per la protezione ambientale (EPA), e l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), questi metalli sono anche classificati come “conosciuti” o “probabili” cancerogeni per l’uomo sulla base di studi epidemiologici e sperimentali che mostrano un’associazione tra l’esposizione e l’incidenza del cancro negli esseri umani e negli animali (Tchounwou et al., 2014).

2.0 Materiali e Metodi

2.1 Area di studio

Il Golfo di Catania si estende per un’area di circa 300 Km² ed è geograficamente delimitato dalla congiungente Torre Archirafi (37°42.871 N, 015°13.183 E) a Nord, con Capo Santa Croce (37°14.569 N, 015°15.430 E) a Sud. E’ un area che gode di un elevato grado di produttività primaria in primo luogo grazie alla presenza delle foci dei fiumi Simeto e S. Leonardo e in secondo luogo grazie alle correnti che derivano dalla circolazione delle acque nello Stretto di Messina che generano un flusso residuale netto a favore del Mar Ionio; l’area scelta per il nostro studio è il litorale settentrionale del Golfo di Catania, in prossimità di aree portuali commerciali e turistiche (Fig. 1). Questa zona è sottoposta ad un forte impatto antropico, dovuto alla presenza di numerosi impianti turistici, alla striscia di sbarco dell’aeroporto, urbanizzazione spesso illegale che causa la distruzione degli habitat, ma soprattutto alle attività commerciali e diportistiche presenti nella città di Catania, in corrispondenza dei porti. Destano inoltre preoccupazione l’inquinamento delle acque derivante da idrocarburi, scarichi civili ed industriali.

Figura 1. Aree portuali selezionate per il trapianto di organismi di Mytilus galloprovincialis.

All’interno del Golfo è possibile distinguere diverse regioni, ciascuna contraddistinta da caratteristiche proprie peculiari. L’area più a Nord, dominata dall’Etna, è caratterizzata dalle colate laviche del 1669; le sue coste sono costituite prevalentemente da rocce ignee e appaiono dunque notevolmente frastagliate. In quest’area la piattaforma continentale è praticamente assente ed il fondo digrada rapidamente fino a –80 m entro un miglio dalla costa.

L’area centrale del Golfo, più precisamente da Punta Aguzza a Capo Mulini, è contraddistinta dalla presenza dell’Area Marina Protetta “Isole Ciclopi”, la quale si estende davanti al paese di Aci Trezza ed il cui cuore è rappresentato da un piccolo arcipelago composto dall’Isola Lachea e sei faraglioni disposti ad arco. Tali formazioni sono costituite da lave basaltiche, caratterizzate da forme di cristallizzazione colonnare. I fondali della riserva, si presentano lavici fino a circa –30 m di profondità, mentre superati i –50 m il substrato diviene argilloso.

L’area meridionale del Golfo di Catania, si differenzia per la presenza di un’ampia fascia sabbiosa, in corrispondenza del litorale della Playa, che si estende per circa 20 Km, dal porto di Catania fino ad Agnone. Alle spalle di tale area vi è la piana alluvionale di Catania, solcata dai fiumi Simeto e San Leonardo, i quali influenzano l’intera regione apportando un costante rifornimento di nutrienti e materiale sedimentario. Ciò crea le condizioni ottimali necessarie alla fioritura del fitoplancton, con conseguente proliferazione dello zooplancton, nutrimento di pesci ed altri superpredatori come i cetacei. Il tratto più a Sud del Golfo, diviene nuovamente roccioso, contraddistinto stavolta dalle lave e calcareniti pleistoceniche dell’altopiano Ibleo. Qui il fondale è basso e la sua profondità massima non supera i –20 m a 8 miglia dalla costa, a causa della presenza di una grande piattaforma continentale. Essa è stretta ed allungata, e digrada dolcemente sino a circa –90 m, oltre cui si ha un notevole incremento della pendenza.

I parametri fisico-chimici dell’intero Golfo di Catania, sono quelli tipici del bacino ionico. La T° dell’acqua subisce ampie variazioni annuali, con massime superficiali di 26,30 °C, e minime in profondità di 14,68 °C. La saturazione di ossigeno ha valori compresi tra il 90% ed il 110%. La salinità è compresa tra il 38,27‰ ed il 38,62‰. I sali nutritivi sono scarsi. I sedimenti sono distribuiti secondo delle fasce granulometriche allungate parallelamente alla costa; ad una fascia costiera di sabbie fini più o meno limose ne succede una con limi leggermente sabbiosi o argillosi, e quindi una con argille più o meno limose. Inoltre sul bordo della piattaforma, a circa 110 m di profondità, 3 miglia al largo del porto di Catania, è presente una sacca di sabbie fini residuali würmiane. In fine, nei sedimenti sono presenti metalli pesanti distribuiti anch’essi per bande di concentrazione parallele alla costa e per valori crescenti verso il largo, in accordo con la distribuzione granulometrica dei sedimenti.

2.2 Posizionamento delle reste e campionamento dei mitili

Il posizionamento delle rest, i successivi prelievi dei mitili e la loro consegna presso il Laboratorio di Igiene Ambientale degli Alimenti (LIAA) sono stati effettuati a cura dell’Ecosezione Frigia del Movimento Azzurro e sono stati coordinati dal Segretario Dott. Giuseppe Monaco sotto la supervisione  del Presidente Dott. Giovanni Barbagallo per il completamento del progetto scientifico in convenzione fra Ecosezione Frigia del Movimento Azzurro e l’Università di Catania. Nell’area di studio il reperimento di mitili naturali è difficoltoso, per questo motivo l’indagine di monitoraggio è stata effettuata tramite organismi di Mytilus galloprovincialis provenienti da una popolazione allevata in un impianto di mitilicoltura della Sicilia orientale, traslocati in reste per un periodo di 4 settimane della stagione primaverile e un uguale periodo nella stagione autunnale, nelle aree da monitorare prive di organismi nativi.

Gli organismi posizionati nelle reste erano di taglia omogenea, approssimativamente compresa tra il 70 e il 90% delle dimensioni massime della specie, e in ogni resta sono stati posizionati mediamente 100 individui.  Le reste sono state fissate ad una profondità compresa tra 1 e 5 metri e ad almeno 1 metro dal fondo. Trascorse 4 settimane, gli organismi traslocati sono stati recuperati e conservati a -20°C fino al momento delle analisi, effettuate presso il Laboratorio di Igiene ambientale e degli Alimenti (LIAA) dell’Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Tecnologie Avanzate.

2.3 Estrazione e quantificazione dei metalli

Per il trattamento dei campioni in laboratorio è stato utilizzato materiale da dissezione (coltelli, bisturi, pinzette e forbici) in acciaio inossidabile per evitare possibili contaminazioni. Per ogni esemplare, mediante l’utilizzo di una bilancia analitica, sono stati pesati 0,5 g di tessuto muscolare, immediatamente conservati in appositi contenitori, in plastica sterile monouso, prima del successivo ciclo di mineralizzazione.

La mineralizzazione è stata effettuata in vaso chiuso, utilizzando l’apparecchio Milestone Ethos TC. Si tratta, in particolare, di un sistema chiuso a microonde che prevede l’utilizzo di contenitori in PTFE con coperchio, alloggiati in piastre multiple, nei quali sono state trasferite le aliquote di tessuto. Il metodo per i tessuti animali prevede la digestione totale con una miscela di 6 ml di HNO3 al 65% e 2 ml di H2O2 al 30%; per ogni tornata di campioni sono stati preparati anche dei bianchi contenenti solo la soluzione digestiva.

Terminato il ciclo di mineralizzazione, i contenitori sono stati aperti sotto cappa dopo averli lasciati raffreddare a temperatura ambiente per una notte; successivamente i campioni digeriti sono stati trasferiti in provette di plastica sterile e portati ad un volume di 30 ml con acqua bidistillata.

I contenitori utilizzati per la mineralizzazione sono stati sottoposti a lavaggi con acqua acidulata (HNO3 1:5) dopo ogni ciclo digestivo.

L’analisi quantitativa è stata effettuata mediante ICP-MS (Inductively Coupled Plasma-Mass Spectrometry) Perkin Elmer. La tecnica ICP-MS è una tipologia di spettrometria di massa altamente sensibile e in grado di effettuare determinazioni di tipo quali-quantitativo su molteplici sostanze inorganiche, metalliche e non metalliche, presenti anche in concentrazioni inferiori a una parte per trilione. In ICP-MS, il plasma è utilizzato per atomizzare e ionizzare gli atomi del campione. Gli ioni, ottenuti, vengono quindi fatti passare, attraverso un sistema di aperture (coni), nell’analizzatore di massa, nell’ambito di un sistema che lavora sotto vuoto. Gli isotopi degli elementi vengono identificati in base al rapporto massa/carica (m/z), tramite un analizzatore a quadrupolo, e l’intensità di ogni picco è proporzionale alla quantità del particolare isotopo dell’elemento nel campione.

I metalli scelti per le analisi sono: As, Cd, Cr, Cu, Hg, Mn, Ni, Pb, Se

3.0 Risultati e Discussioni

Il regolamento (CE) n. 1881/2006 della commissione del 19 dicembre 2006 definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari poiché ai fini della tutela della salute pubblica è essenziale mantenere il tenore dei contaminanti a livelli accettabili sul piano tossicologico. Nell’ambito di tale normativa, come è noto, sono solo tre i metalli tossici ad essere regolamentati ai fini della tutela della salute dei consumatori, il Pb, il Cd e il Hg. Nel quadro della direttiva 93/5/CEE, è stato attuato nel 2004 il compito SCOOP 3.2.11 relativo alla «valutazione dell’esposizione alimentare all’arsenico, al cadmio, al piombo e al mercurio della popolazione degli Stati membri dell’UE». In considerazione di tale valutazione e del parere del comitato scientifico della valutazione umana, SCF, è opportuno adottare misure volte a ridurre quanto più possibile la presenza di piombo negli alimenti. A tal proposito è stato stabilito il tenore massimo di Piombo nei molluschi bivalvi che corrisponde ad un valore di 1.5 mg/kg.  Per quanto concerne il cadmio, nel parere del 2 giugno 1995 l’SCF ha approvato una PTWI di 7 μg/kg per peso corporeo e ha raccomandato di intensificare gli sforzi per ridurre l’esposizione alimentare al cadmio, dal momento che i prodotti alimentari sono la principale fonte di assunzione di cadmio nell’uomo. Con il compito SCOOP 3.2.11 è stata effettuata una valutazione dell’esposizione alimentare. In considerazione di tale valutazione e del parere dell’SCF, è opportuno adottare misure volte a ridurre quanto più possibile la presenza di cadmio negli alimenti. A tal proposito è stato stabilito il tenore massimo di cadmio nei molluschi bivalvi che corrisponde ad un valore di 1 mg/kg. Per quanto concerne il mercurio, l’EFSA ha adottato, in data 24 febbraio 2004, un parere sul mercurio e il metilmercurio negli alimenti e approvato la dose settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) di 1,6 μg/kg per peso corporeo. Il metilmercurio è la forma chimica che desta le maggiori preoccupazioni e può costituire oltre il 90 % del mercurio totale nei pesci e nei frutti di mare. Tenuto conto dei risultati del compito SCOOP 3.2.11, l’EFSA ha concluso che destavano minore preoccupazione i tenori di mercurio riscontrati negli alimenti diversi dal pesce e dai frutti di mare. Le forme di mercurio presenti in questi altri alimenti non sono, nella maggior parte dei casi, metilmercurio e quindi possono essere considerati una minore fonte di rischio. Nel caso del metilmercurio, è opportuno un approccio che, accanto alla fissazione di tenori massimi, preveda consigli mirati destinati ai consumatori così da tutelare i gruppi vulnerabili della popolazione. Per questo motivo sul sito Internet della direzione generale per la Salute e la tutela dei consumatori della Commissione europea è stata pubblicata una nota informativa sul metilmercurio nel pesce e nei prodotti della pesca. Anche vari Stati membri hanno fornito su questo tema indicazioni pertinenti alla popolazione. Il tenore massimo di mercurio permesso nei molluschi bivalvi è di a 0,50 mg/Kg.

Gli standard di qualità delle acque superficiali sono invece fissati dal D.lgs. 152/2006, Parte Terza, Allegato 1. Tranne nel caso della presenza naturale di particolari composti, la presenza di inquinanti con concentrazioni superiori a quelle della tabella 1 A del suddetto decreto (Figura 2), determina la classificazione nelle classi “scadente” o “pessimo” del corpo idrico superficiale e l’adozione nei piani di tutela delle misure atte a prevenire un ulteriore deterioramento e a conseguire progressivamente lo stato “sufficiente” e “buono”.

Figura 2. Tabella 1/A del D.Lgs.152/2006 che definisce le norme in materia ambientale

Nei campioni di Mytilus galloprovincialis traslocati nei siti portuali prescelti nell’ambito di tale progetto, dopo 4 settimane di posizionamento durante il periodo primaverile, solo in una piccola percentuale (5.4%) di individui contenuti nelle reste del sito di Riposto sono state misurate delle concentrazioni medie di Pb >1.5 mg/Kg. Le concentrazioni medie di Pb, Cd e Hg sono però inferiori ai limiti fissati dal Reg. 1881/2006 in tutti i siti di traslocamento. Complessivamente i risultati ottenuti hanno evidenziato un sensibile aumento delle concentrazioni della maggior parte dei metalli nelle aree in cui i mitili sono stati traslocati rispetto alle loro concentrazioni iniziali accumulate all’interno dell’allevamento (Tabella 1 e 2), ad eccezione del Vanadio (V) misurato nei campioni traslocati durante il periodo autunnale (Tabella 2)

Tabella 1. Concentrazioni medie dei metalli analizzati nei campioni trapiantati nel periodo primaverile del 2016 nei siti di RP-Porto, CT1 Porto e CT2 Porto e confronto con le concentrazioni riscontrate nell’allevamento di provenienza.

MetalliAllevamentoRP PortoCT1 PortoCT2 Porto
As (p=0.002)1,3368,3263,3955,117
Cd  (p=0.043)0,0350,1210,0440,041
Cr0,4490,7370,4480,474
Cu (p=0.043)0,6225,6631,2411,489
Hg0,0090,0230,0160,010
Mn (p=0.020)0,4982,7740,7911,205
Ni (p=0.048)0,0920,2590,0800,128
Pb (p=0.043)0,2301,3200,2450,207
Se0,5081,0640,5050,694
V  (p=0.043)0,1372,0350,3800,788

Tabella 2. Concentrazioni medie dei metalli analizzati nei campioni trapiantati nel periodo autunnale del 2016 nei siti di RP-Porto, CT1 Porto e CT2 Porto e confronto con le concentrazioni riscontrate nell’allevamento di provenienza.

MetalliAllevamentoRP PortoCT1 PortoCT2 Porto
As (p=0.006)1,3363,0311,3751,861
Cd0,0350,0290,0190,031
Cr (p=0.018)0,4490,3990,7080,484
Cu0,6222,0582,4442,668
Hg0,0090,0130,0170,016
Mn0,4981,1411,1381,915
Ni (p=0.009)0,0920,0660,3600,241
Pb (p=0.031)0,2300,4710,2250,361
Se0,5080,2480,2810,280
V0,1370,1940,1980,362

In particolare effettuando il test di Kruskal-Wallis per campioni indipendenti sulle concentrazioni trovate durante il periodo primaverile, si è evidenziato che tutti i metalli sono significativamente più alti nel porto di Riposto (RP Porto) rispetto agli altri siti, ad eccezione di Cr, Hg e Se. Nelle due area di traslocamento in prossimità del porto di Catania è emersa una contaminazione maggiore di As (p<0.001), Cu, Mn, Se e V (p<0.01) nel punto CT2 rispetto al CT1.

Elaborando i dati relativi al periodo di traslocamento autunnale, il quadro di biodisponibilità di metalli che si era presentato nel periodo primaverile è significativamente cambiato. Il Pb e l’As sono rimasti significativamente più alti nel punto di RP (p<0.05  e p<0.01 rispettivamente). Sono state invece riscontrate concentrazioni di Cr e Ni significativamente più alte nel sito CT1-Porto (p<0.05 e p<0.01 rispettivamente), e nessuna differenza significativa dal confronto dei rimanenti metalli.

E’ stato anche effettuato un confronto con la letteratura scientifica per confrontare i valori riscontrati nelle aree monitorate per la realizzazione di questo studio con altre aree della regione mediterranea.

Gli studi selezionati dalla letteratura scientifica hanno utilizzato M. galloprovincialis come bio-indicatore della qualità dell’ambiente marino, traslocando organismi provenienti da aree di controllo nelle aree da monitorare (Tabella 3) o analizzando direttamente campioni nativi della stessa specie (Tabella 4).

Complessivamente le concentrazioni misurate nei campioni appartenenti a questo studio, cadono all’interno del range fornito in letteratura scientifica o sono più bassi.

L’unico sito che ha dei valori di metalli sempre più alti di quelli riscontrati nella nostra area di studio è quello della laguna di Venezia (Moschino et al., 2011).

Il Cr invece ha medie più alte in M. galloprovinciali trapiantato lungo le coste dell’adriatico (3.37 mg/Kg) (Gorbi et al., 2008) e in popolazioni native delle coste mediterranee spagnole (7.32 mg/kg) (Zorita et al., 2007).

Il Cu ha concentrazioni più elevate in M. galloprovincialis traslocato lungo le coste nord occidentali del Mediterraneo (8.25 mg/Kg) (Romeo et al., 2003) e lungo la costa turca (6.8 mg/Kg) (Okay et al., 2015). Tre popolazioni native delle coste marocchine e delle coste mediterranee italiane e spagnole hanno concentrazioni di Cu significativamente superiori (8.04, 12, e 22 mg/Kg rispettivamente) (Maanan et al., 2008; Zorita et al., 2007) a quelle riscontrate nella nostra area di studio. 

Mn, Ni, Se e V sono stati poco studiati in letteratura, ma complessivamente pare che la biodisponibilità del Mn e del Ni sia maggiore lungo le coste turche, adriatiche e marocchine e libiche (Okay et al., 2015; Gorbi et al., 2008; Maanan et al., 2008; Jovic´ et al., 2014; Galgani 2014).

I metalli più studiati sono quelli regolamentati, Cd, Hg e Pb. Le concentrazioni medie di Cd da noi riscontrate presentano un range spesso più basso rispetto a quello riportati in studi in letteratura (Galgani 2014; Romeo et al., 2003; Gorbi et al., 2008; Giarratano et al., 2010; Benali et al., 2016; Maanan et al., 2008; Zorita et al., 2007; Maulvault et al. ,2015; Jovic´ et al., 2014). Il Hg ha concentrazioni più alte sono in due studi relativi a organismi nativi della coste mediterranee francesi e spagnoli (Zorita et al., 2007; Maulvault et al. ,2015). Il Pb analizzato in organismi trapiantati è maggiore solo in uno studio effettuato nel Beagle Channel (Giarratano et al., 2010), mentre in popolazioni native del mediterraneo occidentale sembra avere concentrazioni significativamente maggiori rispetto a quelle riscontrate in questo studio (Benali et al., 2016; Rouane-Hacene et al., 2009; Maanan et al., 2008; Zorita et al., 2007; Jovic´ et al., 2014), superando spesso i limiti consentiti dal regolamento N.1881/2006.

Tabella 3. Confronto bibliografico con la letteratura scientifica relativa all’accumulo di metalli pesanti in mitili trapiantati. *Ai fini di un confronto i risultati sono stati convertiti in peso umido in base alla % di umidità  fornito medio del 70%.

AsCrCuMnNiSeVCdHgPbArea di StudioRiferimento Bibliografico
1,3360,4490,6220,4980,0920,5080,1370,0350,0090,23AllevamentoQuesto Studio
3,95- 8,330,474- 0,7371,241 5,6630,791 – 2,7740,08 – 0,2590,505 – 1,0640,38 – 2,040,044 – 0,1210,01 – 0,0230,207 – 1,32Gulf of CataniaQuesto Studio – Spring
1,375- 3,0310,399 – 0,7082,058 – 2,6681,138 – 1,9150,066 – 0,3600,248 – 0,2810,194 – 0,3620,019 – 0,0310,013 – 0,0170,225 – 0,471Gulf of CataniaQuesto Studio-Autumn
n.d.0,111 – 1,16n.d.1,07 – 1,710,3 – 1,51n.d.n.d.0,186 – 0,3570,014 – 0,0190,12 – 0,19Libyan coastGalgani 2014*
n.d.n.d.0,93 – 8,25n.d.n.d.n.d.n.d.0,159 – 0,302n.d.n.d.NW MediterraneanRomeo et al., 2003*
n.d.0,3 – 1,10,9 – 6,81,8 -8,20,9 -4,3n.d.n.d.0,001 – 0,003n.d.2,4 -14Turkish marinasOkay et al., 2015
2,24 – 6,370,09 – 3,371,19 – 2,410,63 – 4,510,219 – 1,81n.d.n.d.0,135 – 0,5970,006 – 0,0150,168 – 0,438Adriatic coastGorbi et al., 2008*
1,35 – 7,358,4 – 26,41,2 -16,2n.d.4,2 – 8,4n.d.n.d.0,06 – 0,8430,042 – 0,5073 -10,9Lagoon of VeniceMoschino et al., 2011*
n.d.n.d.2,05 – 10,9n.d.n.d.n.d.n.d.0,075 – 0,693n.d.3,06 – 8,63Beagle ChannelGiarratano et al., 2010*

Tabella 4. Confronto bibliografico con la letteratura scientifica relativa all’accumulo di metalli pesanti in mitili selvatici. *Ai fini di un confronto i risultati sono stati convertiti in peso umido in base alla % di umidità  fornito medio del 70%.

AsCrCuMnNiSeVCdHgPbArea di StudioRiferimento Bibliografico
n.d.n.d.1,584n.d.n.d.n.d.n.d.1,113n.d.2,349Algerian west coastBenali et al., 2016*
n.d.n.d.1,17 – 1,58n.d.n.d.n.d.n.d.0,198 – 0,204n.d.1,38 – 5,02Algerian west coastRouane-Hacene et al., 2009*
n.d.2,648,046,249,84n.d.n.d.2,160,182,88Moroccan coastal regionMaanan et al., 2008*
n.d.0,213 – 1,001,65 – 2,55n.d.n.d.n.d.n.d.0,12 -0,1860,033 – 0,0780,66 – 1,2 NW Mediterranean Sea (France) Zorita et al., 2007*
n.d.0,51 – 1,541,71 -12n.d.n.d.n.d.n.d.0,081 – 0,1650,024 – 0,030,57 -8,94  NW Mediterranean Sea (Italy) Zorita et al., 2007*
n.d.0,969 – 7,321,71 -22n.d.n.d.n.d.n.d.0,189 – 0,2670,039 – 0,1650,54 – 11,55   NW Mediterranean Sea (Spain) Zorita et al., 2007*
2,640,31,44n.d.<lodn.d.n.d.0,0450,0390,111Tagos (Portogallo)Maulvault et al. ,2015*
2,431,352,52n.d.2,13n.d.n.d.0,2220,0210,027Delta del Po (Italia)Maulvault et al. ,2015*
4,80,421,5n.d.<lodn.d.n.d.0,2820,0660,177Delta dell’Ebro (Spagna)Maulvault et al. ,2015*
3,8 -4,30,09 – 0,100,84 -1,000,60 -0,750,2550,89 -1,010,38 – 0,470,22 – 0,24n.d.0,25 – 0,29Calvi Bay (Corsica)Richi et al., 2014*
n.d.n.d.1,69 – 3,062,88 – 4,680,41 -2,25n.d.n.d.0,36 – 0,660,06 0,150,75 -1,36Boka Kotorska Bay (Croazia)Jovic´ et al., 2014*

Dissesto idrogeologico: La riflessione del Movimento Azzurro

Il Movimento Azzurro si è proposto sulla scena del mondo ambientalista ormai da un trentennio, fondato dall’onorevole Gianfranco Merli, sincero democratico e cattolico impegnato in politica, professore e studioso molto serio ed avveduto, proprio per approcciare ad un nuovo modo di fare politica per la tutela ambientale e praticare vero ambientalismo.

Da ambientalisti di morale cristiana ci siamo voluti porre sullo scenario dell’ecologismo italiano, come movimento di proposta, un movimento che non sfugge anche alla critica o alla polemica quando queste siano opportune per evidenziare guasti, ma che non cerca la ribalta della cronaca esclusivamente per condannare.

Stiamo purtroppo assistendo a questo modo inconsulto di fare ambientalismo ormai da troppi anni, le scene della ribalta sono aperte solo per poche organizzazioni che ormai si sono tramutate in tutt’altro che associazioni di volontariato.

Le cifre riguardanti i fenomeni di dissesto idrogeologico nel nostro Paese, rappresentate nel tempo dal Dipartimento della Protezione Civile, sono relative agli ultimi ottant’anni, ma sono state presentate sul finire dell’attività del Dipartimento della Protezione Civile alla Camera; esse ci parlano di oltre 5.400 alluvioni e 11 mila frane, indicando il rischio idrogeologico secondo solo a quello sismico tra i rischi naturali che affliggono il nostro Paese.

Un altro dato è certo: negli ultimi venti anni i problemi del dissesto idrogeologico si sono aggravati causando danni per oltre 30 mila miliardi e centinaia di vittime.

Le cause sono state enunciate numerose volte da esperti e da rappresentanti del mondo ambientalista.

Non è un caso che il fenomeno del dissesto idrogeologico si sia aggravato negli ultimi venti anni, tale è infatti il tempo sopravvenuto all’abbandono da parte dello Stato delle politiche per il territorio e dell’azione di manutenzione dello stesso attraverso la diretta realizzazione di opere di difesa idraulica. Durante gli anni 70 dello scorso secolo, lo Stato ha delegato parte dei propri compiti alle Regioni, dapprima con il DPR 11 del 1972, poi con la grossa delega del DPR 616 nel 1977.

Contestualmente a questo trasferimento di competenze è venuta meno la politica nazionale e l’interesse verso la tutela del territorio in Italia, così come sono venute meno la politica forestale e la politica regionale in agricoltura. Negli ultimi anni si è proceduto solo a cambiare le denominazioni dei Ministeri e delle competenze ad essi conferite. Il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, una volta Ministero di primaria importanza economica,  è divenuto prima Ministero delle risorse agricole e forestali, materie queste devolute alle Regioni, poi altre modifiche ad ogni cambio di governo, fino ad arrivare all’attuale Ministero dell’Agricoltura e della “Sovranità alimentare”?? le Foreste sono scomparse dalla intestazione ministeriale e non si comprende se vi sia un raccordo sulla materia tra le attuali “competenze delle Regioni” e quelle dello Stato, che a questo punto non ne ha più, non ravvisandosi alcun riferimento al patrimonio forestale italiano in alcuno dei dipartimenti ministeriali.

Questa politica forestale risulta in perfetta continuità con quella del governo Renzi che nel 2016 riuscì a sopprimere il Corpo Forestale dello Stato, una benemerita Amministrazione Statale che ha operato negli scorsi due secoli, per la tutela e salvaguardia del patrimonio forestale italiano e la difesa del suolo attraverso la realizzazione di opere ingegneristiche tese alla conservazione, tutela e miglioramento della rete idraulico-forestale del Paese.

Tale sciagurata opzione, ha costituito la spallata finale per il totale abbandono del presidio istituzionale, nei secoli scorsi posto a salvaguardia del territorio italiano attraverso le circa milleduecento Stazioni Forestali, esistenti sul territorio nazionale.

Necessitano livelli di responsabilità differiti e non basta che i Ministeri centrali preposti a queste materie esercitino un coordinamento, che per altro è contestato, come nel caso dell’agricoltura, dalle Regioni, ma è necessario che lo Stato, attraverso il Parlamento, si riappropri della politica di indirizzo nazionale in materia di difesa del suolo, così come in materia forestale.

L’ambiente e il territorio, che è parte costitutiva di esso, non hanno confini amministrativi, non si possono proporre politiche ambientali per confini amministrativi; i bacini idrici, per esempio, non sempre coincidono con i limiti territoriali di un ente locale e la legge 183 del 1989, pur necessitando di un’ulteriore revisione, non trova oggi ancora definitiva applicazione. La radiografia del nostro Paese fornisce un quadro assolutamente allarmante, sia per il numero di avversità climatiche, che è stato ricordato, sia per la loro distribuzione sul territorio.

L’Italia risulta periodicamente colpita ed in misura crescente da alluvioni, inondazioni, straripamenti, frane e smottamenti, da eventi cioè che dimostrano il degrado ambientale e non solo del territorio medesimo, ma anche la sua fragilità ed insieme l’assenza di difese adeguate.

 Le indagini del servizio geologico nazionale hanno evidenziato che sono a rischio idrogeologico ben 4 mila e 600 Comuni, circa il 65% del territorio nazionale.         

In Italia il numero dei Comuni che negli anni tra l’ultimo decennio del 1900 ed il primo degli anni 2000 hanno registrato la frequenza delle frane e delle alluvioni è stata sempre maggiore, sono stati ben 1.500 i Comuni colpiti da alluvioni e più di 2.000 quelli che hanno subito danni, spesso molto ingenti, a causa di frane e di smottamenti.

I risultati prodotti fino ad oggi dalla legge 183 sulla difesa del suolo non sono da considerarsi soddisfacenti. La Commissione parlamentare Ambiente e Territorio, dove noi abbiamo anche riferito il nostro parere nell’indagine conoscitiva sul dissesto del territorio italiano, dice che l’analisi allo stato della pianificazione degli interventi, la disponibilità di risorse tecnico-scientifiche e di adeguati finanziamenti, evidenziano le difficoltà di conseguire gli obiettivi a suo tempo previsti, mirati alla prevenzione dai rischi alluvionali e al risanamento dal degrado di ampia parte del territorio nazionale.

Inoltre, l’impianto istituzionale della l.183 risulta ampiamente disatteso, soprattutto in alcune zone del Paese e nessun piano di bacino, che è l’atto più significativo ed importante di programmazione dell’azione e degli interventi sul territorio, è stato finora formulato in maniera completa.

D’altronde il fatto che le norme vengono puntualmente tradotte in progetti ed atti efficaci dipende anche dalla conoscenza dei parametri fisici del territorio e dei fenomeni idrologici. Ugualmente dipende dalla tempestiva conoscenza degli stessi parametri la possibilità di evitare circostanze atmosferiche eccezionali e che queste circostanze atmosferiche si traducano in brutale distruzione di vite umane. 

Permane tuttora un grosso disordine, cioè una sovrapposizione nelle reti di monitoraggio dello Stato e delle Regioni, così come nei servizi cartografici che sono molte volte indipendenti tra di loro, pure nella possibilità che oggi le moderne tecnologie ci consentano di effettuare con trasparenza una interconnessione.

Tale situazione contribuisce alla totale mancanza di pianificazione degli interventi di difesa del suolo e ad un caos della programmazione economico-finanziaria da parte delle Regioni. Di tutte le opere di sistemazione idraulica realizzate fino agli inizi degli anni 70 pochissime hanno ricevuto regolari interventi di manutenzione, l’incuria ed il tempo hanno ad oggi vanificato l’esistenza di molte di esse.

Le cronache di questi giorni, come quelle degli anni scorsi, ci hanno indicato anche quanti miliardi si spendono normalmente in Italia per i soli interventi urgenti di risistemazione territoriale. Prevenzione, quindi, conviene anche in termini economici.

La prevenzione, come abbiamo visto, richiede investimenti, quindi spesa ed occupazione. Questa però è una spesa che si può e si deve preventivare, insieme alla pianificazione degli interventi. Bisogna affermare la necessità di una svolta seria e definitiva rispetto ad un atteggiamento del “tirare a campare” fino alla prossima frana; bisogna che lo Stato imponga da subito una seria direttiva per il monitoraggio del territorio.

Allora l’appello che vuole scaturire da questo convegno è rivolto alla classe politica perché affronti in maniera seria e definitiva il nodo delle competenze in materia di tutela e pianificazione dell’uso del territorio, anche se necessario nell’ambito delle riforme istituzionali, in modo da dare certezza ad un intervento che veda la responsabilità e l’indirizzo politico in testa allo Stato, come per altro avviene in altre nazioni europee, quali la Francia che nell’ambito dell’Unione Europea rappresenta, a nostro avviso, il migliore modello di Protezione Civile ma anche di organizzazione statale in materia di politiche territoriali.

Questo modello naturalmente deve vedere l’ampio coinvolgimento delle Province, in primo luogo, nonché dei Consigli Regionali; deve salvaguardare la potestà programmatoria delle Regioni in riferimento alla spesa ed agli interventi, deve spingere il federalismo al pieno coinvolgimento delle autonomie locali, con in primo luogo i Comuni, per la realizzazione degli interventi e per il controllo del territorio in funzione previsionale e di prevenzione del danno.

Un appello è rivolto anche alla società civile e alle organizzazioni che la rappresentano. Serve essere continuamente propositivi, mettere a disposizione le proprie competenze e vigilare come società civile sul fatto che si dia un seguito agli impegni assunti a vari livelli istituzionali, tanto per migliorare organicamente l’organizzazione e la protezione territoriale in Italia, altrimenti iniziative come questa che stiamo svolgendo rimarranno fini a se stesse, improduttive ed allora sarà una sconfitta per tutti noi e non solo per gli sfortunati di turno che saranno coinvolti nel prossimo dissesto idrogeologico.

                                                                                                  Rocco Chiriaco

                                                                                   Presidente Nazionale Movimento Azzurro

Svolta storica sulla fusione nucleare: l’annuncio degli Stati Uniti

La scoperta sarebbe stata fatta dagli scienziati del Federal Lawrence Livermore National Laboratory in California

ROMA – Un significativo progresso nella ricerca sulla produzione di energia pulita e illimitata arriva dagli Stati Uniti dove- secondo quanto scrive il Financial Times- è stata prodotta più energia di quanta utilizzata nel processo di fusione nucleare. La scoperta sarebbe stata fatta dagli scienziati del Federal Lawrence Livermore National Laboratory in California, da dove domani il governo annuncerà una “grande svolta scientifica”. Secondo quanto testimoniano al quotidiano inglese alcune fonti in possesso dei dati preliminari di analisi dell’esperimento, nella struttura del governo statunitense la fusione nucleare realizzata grazie al laser più grande al mondo ha prodotto intorno ai 2.5megajoules di energia, circa il 120% dei 2.1 megajoules di energia utilizzati.

Se i dati venissero confermati, sarebbe una scoperta epocale. Per la prima volta si sarebbe prodotta più energia di quanta utilizzata realizzando il cosiddetto “guadagno netto”, inseguito dalla scienza fin dai primi esperimenti circa 70 anni fa. Se messa a regime la fusione nucleare potrebbe contribuire a produrre energia a zero emissioni con scorie che non richiedono un lungo periodo di tempo per lo smaltimento. Per capirne il potenziale, basti pensare che con una tazzina da caffè di idrogeno si potrebbe alimentare una casa per centinaia di anni. Sentito dal Financial Times, il fisico Arhur Turrel ha affermato: “Se questa scoperta sarà confermata, stiamo testimoniando un momento storico“.

Svolta storica sulla fusione nucleare: l’annuncio degli Stati Uniti (dire.it)https://www.dire.it/12-12-2022/847271-svolta-storica-fusione-nucleare-stati-uniti/