8 Giugno Giornata Internazionale degli Oceani

In occasione della Giornata Europea del Mare e della Giornata Internazionale degli Oceani

Oceano-Mare

Intervista al dott. Cosimo Solidoro, direttore del Dipartimento di
Oceanografia dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica

Manuela Petrini per In Terris

Quest’anno la Giornata Internazionale degli Oceani promulgata dalle Nazioni Unite sarà celebrata l’8 giugno, e segue a ruota la Giornata Europea del Mare celebrata il 20 maggio scorso a cura del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima (Global Catholic Climate Movement – Gccm) nell’ambito della Settimana Laudato Sì, che tanto interesse ha suscitato nel dibattito sulle sorti ambientali del pianeta terra.

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Sono momenti importanti e la celebrazioni rappresentano un modo concreto per riflettere sul tema e approfondire l’impegno per la salvaguardia del Creato e la promozione di un’ecologia integrale. E’ stato lo stesso Papa Francesco ad annunciare l’evento, lo scorso 3 marzo, invitando tramite un video messaggio alla più ampia partecipazione. “Che tipo di mondo vogliamo lasciare a quelli che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? – domandava il Pontefice – Rinnovo il mio appello urgente a rispondere alla crisi ecologica, il grido della terra e il grido dei poveri non possono più aspettare”.

Inquinamento e sfruttamento stanno mettendo a dura prova il nostro pianeta, non solo le terre sfruttate e disboscate, ma anche gli oceani e i mari, sempre più inquinati e pieni di spazzatura e plastica che mettono a rischio la vita sotto la superficie. Ma quali sono le condizioni di salute dei nostri mari? Il nostro Stato sta facendo abbastanza per tutelarli e promuovere uno sviluppo sostenibile.
A tale proposito, Manuela Petrini ha posto alcune domande a Cosimo Solidoro, direttore del Dipartimento di Oceanografia dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica.

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D – Direttore, qual è la salute dei nostri mari?
R – “Questa non è una domanda alla quale è proprio facile rispondere. Il concetto di salute dei mari non è sempre definibile. Complessivamente direi buona perché, per quel che noi sappiamo non ci sono casi esagerati di inquinamento da parte di sostanze tossiche o cose di questo tipo. D’altra parte l’inquinamento, che è la prima cosa a cui si pensa, non è l’unica sorgente di pericolo per i mari, ce ne sono molte altre. Ad esempio, le plastiche sono un grande problema. Poi ci sono i cambiamenti climatici, fenomeno causato dall’uomo, che per quanto riguardano i mari, si traducono in un innalzamento della temperatura e non solo, come l’acidificazione marina. Il riscaldamento dei mari avviene perché aumentano i gas serra. L’aumento della Co2 si scioglie anche nell’acqua e diventa acido carbonatico e cambia l’acidificazione gassata. Questo è un fenomeno meno noto, ma molto rilevante, esiste tutta una serie di animali e piante che fanno fatica a sopravvivere, non siamo in una situazione disperata, ma questa è una sorgente di stress per questi organismi. Altro problema sono gli inquinanti in generale: una volta avevamo soltanto i metalli pesanti, oggi ci sono quelli che vengono chiamati Pop (Persistent organic pollutants), gli inquinanti persistenti perché restano in acqua prima di essere disciolti, per moltissimo tempo. Il mare connette tutto con tutti, quindi una cosa che resta in sospensione, viene portata dappertutto dalle correnti oceanografiche. Per questo è necessario mettere in moto meccanismi transnazionali per la gestione, la comprensione e il monitoraggio del mare. Il mare non ha confine, o meglio, ha quelli politici, inventati dall’uomo. Altri rischi sono la sovra-pesca: stiamo pescando con un tasso di prelievo che è più forte della capacità del mare di sostenere, questo sta portando alcune specie al collasso. Grande attenzione deve essere fatta anche per quel che riguarda lo sfruttamento di tutte le risorse marine. Il mare è di tutti e di nessuno, ognuno è padrone del pezzetto davanti alle sue coste, ma ci sono porzioni di oceano che non sono di nessuno: in queste zone si scatena una sorta di competizione degli Stati per accaparrarsi le risorse prima che lo facciano gli altri. Attualmente ci sono grandi studi di compagnie private per sfruttare i giacimenti che sono sul fondo dell’oceano, in ambienti delicatissimi che neanche conosciamo. L’uomo è diventato un po’ presuntuoso, pensa di poter fare quello che vuole, che la tecnologia risolve tutto, ma non è così, siamo sempre soggetti alle leggi della natura”.

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D – Cosa si sta facendo a livello mondiale per preservare gli oceani?
R – “Le Nazioni Unite dedicano la decade che entra, ogni 10 anni, a un nuovo argomento. Il 2021-2030 sarà dedicata agli oceani. La chiamano Oceans Science, per lo sviluppo sostenibile. E’ una scelta che ci piace molto che ci ricorda che abbiamo ancora tanto da capire, poi si potrà pensare a uno sviluppo sostenibile rispettoso delle leggi della natura”.

D – Quest’anno la Giornata europea del mare cade all’interno della “Settimana della laudato si’”, in onore del quinto anniversario dalla pubblicazione dell’enciclica di Papa Francesco…
R – “Ho avuto modo di leggere l’enciclica quando è uscita, l’ho trovata di grande completezza, visione e mondanità. Io e i miei colleghi siamo stati molto contenti che ci fosse un documento posto all’attenzione della comunità da una persona così autorevole e penso che abbia centrato molti punti importanti che anche la comunità scientifica sottolinea da sempre. Quanto questa enciclica abbia contribuito a questo cambio di passo non posso quantificarlo, ma sono contento che l’abbia fatto nel modo più ampio possibile”.

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D – A causa del lockdown imposto per limitare la diffusione del diffondersi del contagio da coronavirus, abbiamo visto come la natura si sia riappropriata dei suoi spazi: i delfini sono tornati nei porti di Ancona e Cagliari, animali vagavano per le vie delle città, nelle acque dei canali di Venezia, mai così limpidi, siamo riusciti ad osservare una medusa nuotare. L’ambiente aveva bisogno di “disintossicarsi” dalla presenza dell’uomo?
R – “Siamo rimasti un po’ tutti stupiti, non tanto il fatto che la natura si sia riappropriata di spazi che solitamente non vediamo, ma la velocità con cui lo ha fatto. Siamo così invadenti da bloccare tutto che basta qualche settimana in cui ci ritiriamo che la natura torna a farsi visibili. La nostra è una presenza molto ingombrante. Non vorrei che passasse il messaggio, forse poco corretto, che se l’uomo si fa da parte la natura ritorna a un equilibrio ‘perfetto’. Quello che sicuramente succederebbe, è che la natura troverebbe un altro equilibrio, il sistema cambierebbe, ma per andare dove non è che sia proprio chiaro. La natura sopravvive, si riorganizza e può anche fare a meno di noi, siamo noi che dobbiamo adattarci”.