Giornata Mondiale delle Zone Umide

🌱 Le zone umide svolgono una funzione essenziale per il nostro ambiente: forniscono acqua, sono una barriera naturale contro le alluvioni nelle zone interne e contrastano l’erosione da parte del mare sulle zone costiere, assorbono grandi quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera e tutelano la flora e la fauna locale.🦩

Oggi si celebra la Giornata Mondiale delle Zone Umide, anniversario della storica “Convenzione di Ramsar” che nel 1971 vide, nell’omonima città iraniana, la firma di un documento sottoscritto da 172 paesi per l’individuazione e salvaguardia delle zone umide.🇮🇹 La lista comprende 2400 siti di rilievo internazionale, di cui 57 in Italia all’interno dei siti della Rete Natura 2000 tutt’ora in continua espansione.

👉 Leggi di più sul sito del MASE:http://www.mase.gov.it/…/giornata-mondiale-delle-zone…

Biodiversità agricola e salute umana

Biodiversità agricola e salute umana

ALIMENTAZIONE SOSTENIBILEPIANETA AGRICOLTURA

Biodiversità agricola e salute umana

Secondo il rapporto su “Salute e Biodiversità” presentato dall’OMS al 14° Congresso Mondiale per la Sanità Pubblica si dimostra il contributo significativo di biodiversità e servizi ecosistemici al miglioramento della salute umana attraverso l’impatto sulla qualità dell’aria e dell’acqua, la nutrizione, le malattie non trasmissibili e infettive, i farmaci.
Inoltre, secondo un recente rapporto di Chatham House (Royal Institute of International Affairs, comunemente noto come Chatham House, che è un centro studi britannico, specializzato in analisi geopolitiche e delle tendenze politico-economiche globali) lanciato in collaborazione con l’UNEP e Compassion in World Farming (Maggiore organizzazione internazionale senza scopo di lucro per il benessere e protezione degli animali da allevamento), si è evidenziato che il sistema alimentare è il primo driver di perdita di biodiversità.
Il sistema alimentare globale è infatti il primo driver della perdita di biodiversità, con l’agricoltura che, da sola, rappresenta una minaccia per 24.000 delle 28.000 (86%) specie a rischio di estinzione. Come evidenziato nella figura che segue, i dati ci dicono, tra l’altro, che il tasso globale di estinzione delle specie, oggi, è più alto di quello medio degli ultimi 10 milioni di anni e che potrebbe essere invertito solo a condizione di un modello green di produzione agroalimentare.

Il “paradigma del cibo a basso costo”, ha notevolmente influenzato l’aumento degli input come i fertilizzanti, i pesticidi, l’energia, la terra e l’acqua. Questo paradigma conduce a un circolo vizioso: il costo più basso della produzione di cibo crea una più grande domanda di cibo che deve essere prodotto a un costo più basso, aumentando le produzioni e provocando una ulteriore deforestazione e desertificazione del suolo.
Inoltre se si continua in questa direzione, la perdita di biodiversità continuerà ad accelerare a meno che non cambiamo il modo in cui produciamo il cibo.
Tra l’altro una ulteriore distruzione degli ecosistemi e degli habitat minaccerà la nostra possibilità di assicurare la sopravvivenza delle popolazioni umane.
Per operare tutto ciò è necessario, tuttavia, un cambiamento delle diete onde consentire che molti terreni tornino alla natura e per permettere l’adozione diffusa di un’agricoltura più rispettosa della stessa senza aumentare la pressione di conversione di aree naturali in aree agricole.
Più la prima azione viene messa in pratica, attraverso il cambiamento delle diete, più si creano possibilità per la seconda e la terza azione.
L’attuale sistema alimentare è una lama a doppio taglio, creata soprattutto negli ultimi decenni al fine di produrre più cibo, più velocemente e a costi più bassi, senza tenere in considerazione i costi nascosti dovuti alla perdita di biodiversità e le sue funzioni essenziali per la vita e per la nostra salute.
Per questo motivo bisogna riformare urgentemente il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo. La biodiversità agricola non può essere tutelata se non agiamo sulla biodiversità alimentare.
Tra l’altro la biodiversità alimentare, intesa come biodiversità dei vegetali, degli animali e degli altri organismi che costituiscono il nostro cibo, contribuisce in più modi a una dieta sana e diversificata.
In tal senso vari studi sulla composizione dei cibi evidenziano che il tenore di nutrienti (macro e micronutrienti) può variare in modo molto pronunciato sia da specie a specie sia tra cultivar di una stessa specie. In particolare, le varietà selvatiche, di norma, risultano più nutrienti di quelle domestiche.
Inoltre, va ribadito che le specie endemiche o autoctone si adattano meglio alle condizioni ambientali del territorio e, pertanto, spesso richiedono meno input esterni, come acqua o prodotti fitosanitari che comportano seri problemi per la salute dei consumatori, degli agricoltori e per le condizioni ecologiche dei paesaggi agrari e naturali.
Infatti, per difendersi da stress ambientali come temperature elevate, siccità e gelo, che causano la produzione di radicali liberi che possono danneggiare il loro DNA, le piante mettono in atto meccanismi di resistenza che attivano la produzione di molecole dotate di proprietà antiossidanti.
Per questo motivo bisogna implementare sistemi agroecologici che contribuiscano a consumare specie vegetali indigene che, come tali, hanno sviluppato difese contro le condizioni ambientali o gli agenti esterni, aumentando anche il tenore di sostanze protettive nella nostra dieta, come i terpeni, e molecole importantissime come i carotenoidi e la vitamina E, i composti fenolici come i flavonoidi, gli alcaloidi e i composti a base di azoto e zolfo che esercitano un’efficacissima azione antiossidante.
Ad esempio, il consumo prolungato di polifenoli può contribuire a ridurre il rischio di cancro, disturbi cardiovascolari, diabete, osteoporosi e malattie neurodegenerative, proteggendo l’organismo dai danni che i radicali liberi arrecano al DNA.
Non per nulla la cosiddetta Strategia Farm to Fork dell’Unione Europea lega indissolubilmente i due momenti del sistema agroalimentare: le aziende agricole (Farm), con la necessità di incrementare la biodiversità agricola tramite sistemi agroecologici, e il consumatore finale (Fork = forchetta) che deve incrementare la biodiversità della sua dieta.
Il connubio biodiversità alimentare – biodiversità agricola è l’unica strada per far vivere meglio persone e pianeta, rispolverando un po’ la famosa frase: mens sana in corpore sano (“mente sana in corpo sano”), locuzione latina tratta da un capoverso delle Satire di Giovenale. In poche parole esiste una perfetta sincronia (e logica) che unisce indissolubilmente la salute della specie umana con quella dell’ecosistema planetario; non possiamo regolare una senza intervenire sull’altra e viceversa.
Inoltre, come riporta il rapporto elaborato da Chatham House, l’impatto di questa corsa al ribasso del cibo non si limita ad incidere solo alla perdita di biodiversità. Il sistema alimentare globale è uno dei principali motori del cambiamento climatico e rappresenta circa il 30% delle emissioni totali prodotte dall’uomo: un cambiamento nella nostra dieta diventa quindi una necessità, per restituire le terre sottratte alla natura e con l’obiettivo di sviluppare un’agricoltura sempre più rispettosa degli ecosistemi naturali.
La valutazione del ciclo di vita (LCA) consente di affrontare in modo sistematico gli impatti ambientali lungo le catene di approvvigionamento, rappresentando una metodologia di riferimento che può essere applicata per valutare i sistemi alimentari.
È necessario, pertanto, adottare sistemi di valutazione basati sull’LCA per determinare le incidenze dei sistemi di dieta e relativi approvvigionamenti alimentari sulla perdita di biodiversità e quali aspetti devono essere ulteriormente elaborati per garantire una valutazione completa degli impatti sulla biodiversità dovuti alla produzione e al consumo di cibo (Crenna E. et al. 2019).

Guido Bissanti

Il presente articolo è una delle sintesi che emergono dal libro di prossima pubblicazione sull’agroecologia (primavera 2024) a firma del sottoscritto e degli altri ricercatori: Giovanni Dara Guccione (CREA-PB), Barbara Manachini (UNIPA), Paola Quatrini (UNIPA) e con la prefazione di Luca Mercalli (presidente Società Meteorologica Italiana).

Il Movimento Azzurro dice NO al Deposito nazionale delle scorie nucleari. Il ministero identifica 51 siti idonei in 6 regioni.

Le zone indicate in un apposita Carta si trovano In Piemonte, Lazio, Sardegna, Basilicata, Puglia e Sicilia. Scattate subito le proteste

 Deposito nazionale delle scorie nucleari: il ministero identifica 51 siti idonei in 6 regioni

Dopo anni di attese, studi e polemiche, il Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha pubblicato la mappa delle aree idonee per il deposito nazionale delle scorie nucleari in una lista denominata Carta nazionale delle aree idonee per il deposito nazionale delle scorie radioattive (Cnai). La Cnai, diffusa oggi, è stata preparata dalla Sogin, la società pubblica che dovrà realizzare e gestire l’impianto per lo smantellamento degli impianti nucleari. I 51 siti sono raggruppati in 5 zone ben precise, su 6 regioni

In Piemonte, 5 siti: la zona adatta è in provincia di Alessandria, nei comuni di Bosco Marengo, Novi Ligure, Alessandria, Oviglio, Quargnento, Castelnuovo Bormida, Sezzadio, Fubine Monferrato.

Il Lazio ha il maggior numero di siti idonei, 21, tutti nel Viterbese, nei comuni di Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Arlena di Castro, Piansano, Tessennano.

In Sardegna, gli 8 siti sono concentrati fra la provincia di Oristano e quella di Sud Sardegna, a Albagiara, Assolo, Usellus, Mandas, Siurgius Donigala, Segariu, Villamar, Setzu, Tuili, Turri, Ussaramanna, Nurri, Ortacesus, Guasila.

Fra Puglia Basilicata sono concentrati 15 siti: fra la provincia di Matera (Montalbano Jonico, Matera, Bernalda, Montescaglioso, Irsina) e i comuni di Altamura, Laterza e Gravina, con una appendice nel Potentino, a Genzano di Lucania.

In Sicilia si trova la quinta e ultima zona, nel Trapanese, con aree idonee a Calatafimi, Segesta e Trapani.contenitori per rifiuti sanitari(Pixabay)contenitori per rifiuti sanitari

I criteri adottati

Nel 2021 Sogin aveva pubblicato una prima Carta di 67 aree potenzialmente idonee, basata su 28 criteri di sicurezza fissati dall’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare. Fra questi criteri ci sono la lontananza da zone vulcaniche, sismiche, di faglia e a rischio dissesto, e da insediamenti civili, industriali e militari. Sono escluse le aree naturali protette, quelle oltre i 700 metri sul livello del mare, a meno di 5 km dalla costa, con presenza di miniere e pozzi di petrolio o gas, di interesse agricolo, archeologico e storico. E’ richiesta infine la disponibilità di infrastrutture di trasporto. Su questa prima lista di 67 siti, è stata aperta una consultazione pubblica con gli enti locali e i cittadini interessati. Al termine di questa, Sogin ha stilato la lista finale dei 51 siti idonei. 

Ma la lista non è chiusa. Il recente Decreto legge energia ha introdotto la possibilità di autocandidature anche per i comuni che non sono compresi nella mappa. E ora ci sono 30 giorni per presentarle. Entro 30 giorni dalla pubblicazione della Carta, possono essere presentate autocandidature ad ospitare il deposito da parte di enti territoriali e strutture militari. Possono presentare candidature anche enti locali non indicati nella Cnai, chiedendo alla Sogin di rivalutare il loro territorio.

La pubblicazione della lista ha scatenato proteste e rimostranze da varie realtà legate ai territori elencati come possibili luoghi destinati a deposito.

Laudate Deum. Morandini: “Il Papa ci invita a prendere in mano la storia e orientarla a un futuro sostenibile”

Il documento, dice al Sir il teologo, è anche “un appello fatto da un uomo che pur essendo avanti negli anni mantiene questa fortissima capacità di guardare avanti, questa lungimiranza che lo fa attento al futuro, alle sue splendide possibilità, ma anche alle minacce su di esso. È uno sguardo vigilante, che intreccia la costante attenzione alla pace e alla qualità della vita umana con un’attenta percezione dello sfondo ambientale, planetario, globale in cui essa si realizza e si dispiega”

foto SIR/Marco Calvarese

Un appello a tutte le persone di buona volontà di fronte alla crisi climatica che avanza e rispetto alla quale “non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura”. A otto anni dall’enciclica Laudato si’ lo lancia Papa Francesco, con l’esortazione apostolica Laudate Deum, pubblicata nel giorno della festa di San Francesco, il 4 ottobre, nella consapevolezza “che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti”. Della nuova esortazione del Pontefice parliamo con il teologo Simone Morandini.

(Foto: Redazione)

La Laudate Deum presenta un’analisi molto puntuale sul cambiamento climatico…

Il Papa cita ampiamente – come evidenziato nelle note del testo – report molto autorevoli dal punto di vista scientifico. La fonte principale è l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), promosso dalle Nazioni Unite, organismo che monitora le pubblicazioni scientifiche in materia di climatologia. Francesco attinge ampiamente ad esso, specie agli ultimi report usciti tra il 2022 e il 2023. Già qui ci sono due elementi di grande interesse.Il primo è la volontà, espressa a un livello inedito – anche superiore alla Laudato si’ – di attenersi allo stato dell’arte per quanto riguarda la comprensione scientifica di un fenomeno estremamente rilevante. Il secondo è la volontà di prendere esplicitamente posizione contro i negazionisti scientifici, che continuano a dire che il mutamento climatico non esiste, ma anche contro quei negazionisti di fatto, che, pur mostrandosi sensibili al problema, poi non intraprendono azioni concrete per opporsi a esso.C’è una doppia attenzione in questo senso e il Papa si esprime con molta forza in Laudate Deum.

Cosa l’ha colpita della Laudate Deum?

L’esortazione apostolica è un intervento autorevole in un dibattito che attraversa la comunità internazionale – non quella scientifica che ormai semplicemente consolida i propri argomenti e approfondisce temi -, ma solo quella politica. Ad essa si indirizza Francesco per chiamarla a un’attenzione e ad un’azione tempestiva e incisiva.Non è casuale che ben tre sezioni guardino alla politica internazionale, con la quinta che culmina in espliciti appelli indirizzati alla prossima Conferenza delle Parti di Dubai.

Un luogo che non promette bene per l’esito dei risultati della Cop…

Il Papa è stato delicato, dice che gli Emirati Arabi Uniti sono un Paese grande esportatore di energia fossile, anche se ha investito molto nell’energia rinnovabile.

Ma cosa possiamo aspettarci dalla Cop28? L’appello del Papa sarà raccolto in qualche modo?

Non faccio previsioni, ma ci si avvicina alla Cop28 in un clima non favorevole: al di là della localizzazione della Conferenza, le tensioni legate all’invasione russa in Ucraina hanno frammentato la comunità internazionale, che non è al momento propensa ad attivare dinamiche di collaborazione. Non si possono quindi avere a priori aspettative di alto livello; ricordo però che la stessa cosa si diceva pochi mesi prima della Cop21 di Parigi, alla quale fa riferimento anche la Laudate Deum. E sono in molti a testimoniare che i buoni risultati della Cop di Parigi sono anche il frutto dell’argomentazione morale e religiosa messa in campo da Papa Francesco nella Laudato si’, pubblicata alcuni mesi prima. Quindi aspettiamo a fasciarci la testa anche se le condizioni di partenza non sono favorevoli.

L’urgenza del problema e il richiamo fatto da Francesco possono avere un valore e orientare anche gli Stati più recalcitranti ad una maggior attenzione al tema.

Francesco parla di pungiglione etico.

Questa è una sfida che conosce ogni soggetto che non operi tramite il potere del denaro o il potere dell’influenza:l’appello non può che essere etico e abbiamo nella storia dell’umanità fasi in cui esso ha aiutato a cambiare, ha richiamato e invitato a prendere in considerazione altri fattori.Ad esempio, a proposito del bilanciamento tra posti di lavoro persi e guadagnati con uno spostamento verso l’energia verde, Francesco invita a non dimenticare che al momento quello che stiamo perdendo – e a velocità crescente – sono posti di lavoro e opportunità di vita a causa degli effetti del mutamento climatico che distrugge la natura, il mondo come lo conosciamo, rendendolo sempre meno abitabile per gli esseri umani.Abbiamo un pungiglione etico in cui l’altruismo si intreccia con l’egoismo intelligente, come richiamo a prendere in carico anche noi stessi, la nostra esistenza come famiglia umana. Davvero non solo i nostri figli, ma già noi stessi, che ormai tocchiamo con mano l’impatto del mutamento climatico sulle nostre vite.

Il Pontefice mette in guardia anche dal paradigma tecnocratico con l’idea di un essere umano senza limiti, la decadenza etica del potere, la politica internazionale debole, l’assenza di istituzioni e organizzazioni sovranazionali in grado di far rispettare gli impegni presi e di dirimere le controversie.

La critica alla tecnocrazia – non alla scienza o alla tecnica – era già forte in Laudato si’. Interessante l’accento forte posto sul multilateralismo nella sezione dedicata alla fragilità della politica internazionale. Un multilateralismo che vada al di là delle politiche prettamente orientate agli interessi nazionali che purtroppo vediamo in prevalenza in questi ultimi anni.Il primo elemento è ritornare a collaborare nel contesto di organizzazioni mondiali ben strutturate, senza trascurare la rilevanza della società civile che diventa pure un fattore importante. Papa Francesco sottolinea come essa diventi di fatto un’espressione del principio di sussidiarietà così caro alla Dottrina sociale della Chiesa, in un multilateralismo dal basso che coinvolga la responsabilità dei soggetti a vari livelli.

Tutto è collegato, nessuno si salva da solo, ricorda ancora una volta il Papa. È importante anche la conversione dei nostri stili di vita?

Ritengo che l’esortazione apostolica Laudate Deum vada sistematicamente letta avendo sullo sfondo l’enciclica Laudato si’, come suo presupposto anche rispetto alle categorie concettuali e agli orizzonti di riferimento. In Laudate Deum Francesco pone indubbiamente l’accento soprattutto sulle esigenze che toccano la politica internazionale, sulle responsabilità dei governi e delle organizzazioni sovranazionali nel prendere decisioni efficaci, urgenti e controllabili. Questo non significa che il Pontefice non sottolinei anche la responsabilità dei singoli, delle famiglie, delle comunità, in ordine a un rinnovamento degli stili di vita, a pratiche responsabili di consumo.

Contenere il mutamento climatico è una sfida così complessa che solo con una reale attivazione di una responsabilità a più livelli possiamo venirne fuori in modo efficace, salvando coloro che già ora ne stanno pagando le conseguenze.

Il Papa si rivolge ai fedeli cattolici e incoraggia anche i fratelli e le sorelle di altre religioni perché la fede autentica “illumina il rapporto con gli altri e i legami con tutto il creato”. Come sarà accolta a livello ecumenico e interreligioso la nuova esortazione?

È un testo che rispetto a Laudato si’ è più essenziale, si concentra soprattutto sull’istanza di etica socio-ambientale e dedica un’attenzione meno ampia al dialogo con altre comunità di fede, benché l’ultima sezione si apra con questo appello rivolto ai fratelli e alle sorelle di altre religioni ad approfondire le motivazioni che scaturiscono dalla loro fede così come è invitata a fare la comunità cattolica. Non è un testo esplicitamente orientato al dialogo come era Laudato si’ e come lo era, a maggior ragione, la Fratelli tutti. Questo è un testo di altra natura che presuppone quanto detto nelle due encicliche e lo rilancia sullo specifico versante del mutamento climatico. Era un testo comunque atteso;penso che susciterà un forte interesse e anche reazioni sintoniche da parte di altre comunità religiose.

C’è qualche aspetto particolarmente importante della Laudate Deum?

Sì, ci sono un paio di aspetti di rilevanza etica. Nella sezione sesta c’è uno sfondo spirituale che attinge direttamente alla Laudato si’ – è un testo pieno delle citazioni dell’enciclica – ma anche con un paio di idee nuove.Innanzitutto, l’idea di “antropocentrismo situato”, abbastanza inedita: da un lato si sottolinea il “valore peculiare e centrale dell’essere umano in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri”, ma dall’altra si ricorda che “la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature”.È la ripresa del grande tema della Laudato si’ della famiglia universale, di una comunione sublime, di una interconnessione a livello globale; c’è, quindi, una sottolineatura della singolare responsabilità del soggetto umano ma, al contempo, del suo radicamento in quella rete relazionale in cui la creazione ci colloca.Un altro dato inedito è l’espressione, presa dalla pensatrice Donna Haraway, che parla di “zona di contatto”, per sottolineare come il mondo intero sia qualcosa tramite cui siamo uniti a tutte le creature, anche se il paradigma tecnocratico rischia di occultare la nostra percezione di tale realtà. C’è insomma anche un approfondimento di una antropologia ecologica in questo breve testo.

Breve, ma intenso…

Concordo: Laudate Deum è un piccolo testo, che esplora dimensioni che Laudato si’ accennava, mentre qui vengono focalizzate. Il cuore del testo è al numero 59, con questo invito “a far sì che la Cop28 diventi storica, che ci onori e ci nobiliti come esseri umani”:

c’è un richiamo a una dignità umana intesa come capacità di prendere in mano la nostra storia e orientarla a un futuro sostenibile, a un futuro abitabile, a un futuro che non sia pieno di vittime, i poveri sempre in prima luogo.

Per lavorare a un futuro sostenibile Papa si rivolge, come dicevamo, soprattutto al mondo politico e alle organizzazioni internazionali…

Sì, perché è un testo il cui target è la Cop28 di Dubai, che ha come attori principali i governi e le organizzazioni sovranazionali. Non dimentichiamo però l’ampia perorazione che faceva Francesco nella Laudato si’ per i piccoli gesti quotidiani che possono fare la differenza, con un elenco di dieci punti esemplificativi di buone pratiche ecologiche quotidiane. Là sottolineava pure che non è solo un operare individuale, ma sono azioni di bene che sono diffusive di se stesse, che moltiplicano la propria efficacia, quando si articolano in reti interpersonali e comunitarie. Non si deve leggere la Laudate Deum in isolamento dalla sua matrice di riferimento che è la Laudato si’.Vorrei però anche sottolineare che è di estremo rilievo che Francesco torni con un documento, sebbene non dello stesso livello, su una tematica che aveva affrontato pochi anni fa. È la chiara testimonianza che questa è un’armonica fondamentale del suo magistero.Non dimentichiamo che quando ha motivato la scelta del nome Francesco il Papa aveva evocato il Santo di Assisi come l’uomo della pace, l’uomo dell’amore per i poveri, l’uomo della custodia del creato. La volontà di tenere assieme queste tre dimensioni si è espressa in tanti testi e interventi: Laudato si’, adesso Laudate Deum, ma non dimentichiamo Querida Amazonia e anche i tanti messaggi inviati alle assise internazionali in cui i temi ambientali erano al centro. Sarebbe tempo, forse, di studiare in modo sistematico, complessivo, questo magistero ambientale di Francesco.

Il Papa è preoccupato dal fatto che non reagiamo di fronte alla crisi climatica…

Laudate Deum è anche questo: un appello in un mondo che sta andando a pezzi e rispetto al quale non ci stiamo preoccupando a sufficienza o non stiamo operando in modo sufficientemente incisivo.

Un appello fatto da un uomo che pur essendo avanti negli anni mantiene questa fortissima capacità di guardare avanti, questa lungimiranza che lo fa attento al futuro, alle sue splendide possibilità, ma anche alle minacce su di esso.

È uno sguardo vigilante, che intreccia la costante attenzione alla pace e alla qualità della vita umana con un’attenta percezione dello sfondo ambientale, planetario, globale in cui essa si realizza e si dispiega. Non a caso, accanto a Laudato si’ l’altro testo molto citato in Laudate Deum è Fratelli tutti; è interessante perché dopo l’enciclica sulla fratellanza c’è chi ha contrapposto le due encicliche: come se una fosse “verde” e l’altra antropocentrica. In Laudate Deum emerge con chiarezza che le esigenze della fraternità umana chiedono attenzione alla cura del creato e all’ascolto del grido della terra: il magistero sociale di Francesco è unitario e spiazza ogni tentativo di scoprirvi discontinuità o contrapposizioni.

SilvaCuore, l’app che monitora la salute delle foreste.Il Movimento Azzurro partner dell’applicazione per segnalare siti forestali in deperimento sviluppato dall’Università degli Studi di Basilicata.

Giovedì 27 luglio u.s. presso l’Università degli Studi di Basilicata si è svolto l’incontro di presentazione dell’applicazione SilvaCuore, uno strumento online creato allo scopo di segnalare potenziali siti forestali in deperimento presenti sul territorio italiano. Si rivolge sia ai professionisti del settore che agli appassionati che vogliano contribuire al monitoraggio della salute dei nostri boschi.Il Movimento Azzurro partner del programma SilvaCuore, ha preso parte all’incontro promosso dal Prof. Francesco Ripullione e dalla Dott.ssa Maria Castellaneta, responsabile del progetto, al fine di promuovere la conoscenza e l’utilizzo di questo importante strumento di tutela delle foreste.Un incontro molto proficuo nel quale il Prof. Ripullione ha esposto un resoconto sullo stato di salute delle foreste, in particolare nella fascia mediterranea, che negli ultimi decenni ha subito un notevole aumento di alberi in deperimento e mortalità, causate soprattutto dall’aumento della frequenza ed intensità di ondate di siccità e calore. In Basilicata sono in corso attività di ricerca, sui boschi nei Comuni di San Paolo Albanese, Gorgoglione e Policoro. In particolare il bosco di San Paolo Albanese, nel Parco Nazionale del Pollino, è oggetto di studio nell’ambito del progetto PON OT4CLIMA al fine di comprendere i fattori di stress che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza del bosco stesso, mentre il “bosco Pantano” di Policoro è oggetto di indagine svolte dall’ Università degli Studi della Basilicata e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, da cui è emerso come i pochi esemplari rimasti di farnia risultino caratterizzati da un notevole stato di sofferenza.Attualmente l’Università degli Studi di Basilicata è coinvolta nel progetto nazionale AGRITECH come gruppo di ricerca per i campionamenti di coppie piante sane e deperienti per cercare di avere delle informazioni dal punto di vista fenotipico e genotipico per l’individuazione di piante più resistenti al cambiamento climatico, così da prelevarne i semi  e dare origine a una discendenza di piante più resistenti.
Nella seconda parte dell’incontro, la Dott.ssa Maria Castellaneta, ha illustrato il progetto SilvaCuore. «Considerata l’importanza di avere maggiore contezza delle superfici interessate dal fenomeno a livello italiano, e vista la mancanza di un dato ufficiale, l’obiettivo era quello di creare un network per poter censire i siti forestali in deperimento, al fine di costruire una banca dati a livello nazionale. Creare una web-application che potesse coinvolgere una comunità attiva di utenti, che vogliano contribuire attivamente al monitoraggio della salute dei nostri boschi. Si tratta perciò di un progetto di Citizen Science che punta al coinvolgimento diretto dei cittadini, permettendo loro di divenire i veri protagonisti della ricerca scientifica». Questi i presupposti che hanno portato alla creazione di SilvaCuore, la prima applicazione realizzata in Italia per censire lo stato di salute dei boschi ma anche pianificare attività di ricerche e misure di gestione.  Grazie all’interfaccia user-friendly, SilvaCuore guida l’utente durante tutta la procedura di segnalazione. Applicazione che ha ottenuto il riconoscimento per giovani ricercatori e ricercatrici under 40, nell’ambito della Conferenza Internazionale “The Forest Factor” che si è tenuto a Roma il 6-7 giugno u.s. 
Al termine della presentazione è intervenuto il Presidente Nazionale del Movimento Azzurro, il Dott. Rocco Chiriaco che ha evidenziato come la mancanza di un’autorità forestale, imponga per senso etico, civile e morale, alle Associazioni di settore, come il M.A. e al comparto scientifico di ricerca, di offrire le competenze e il supporto,  per la tutela del patrimonio ambientale, considerata l’attuale congiuntura storico – climatica.

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo

AMBIENTE IN DIRETTAVERSO IL FUTURO

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo

In data 12 luglio 2023 il Parlamento Europeo ha approvato con 336 voti favorevoli, 300 contrari e 13 astenuti la legge per il ripristino della natura, un progetto mirato al ripristino della biodiversità e al recupero delle aree naturali gravemente compromesse.
Non è stato un percorso facile e non sono mancate le contrapposizioni di gruppi e parlamentari contro questo indispensabile ed improcrastinabile provvedimento.
La Nature Restoration Law è un provvedimento unico nel suo genere in tutta la storia della comunità europea. Per la prima volta avremo una legge con una funzione non solo protettiva, come avviene per le preziose direttive Uccelli e Habitat, ma proattiva, il cui principio è che proteggere la natura esistente è fondamentale ma non basta più: bisogna ripristinare quella perduta. Questo aiuterà a fermare il declino della biodiversità, ad affrontare la questione climatica così come ad avere un territorio più sicuro, città più verdi e accoglienti, servizi ecosistemici di maggiore qualità.
Chi potrebbe essere contrario a questi obiettivi, visto il degrado ambientale ed ecologico in cui ci siamo infilati?
Eppure nonostante questi straordinari benefici, l’Europarlamento ha dovuto superare un’opposizione anacronistica e scorretta, di una parte della politica e di alcune lobby contrarie ad ogni vera agenda ambientale, che ha usato argomenti fasulli e talvolta linguaggi inopportuni per fermare la legge. Il successo dell’approvazione lo si deve alla determinazione della Commissione europea e di una parte consistente delle forze politiche dell’Europarlamento ma anche alla mobilitazione civica senza precedenti che ha supportato la legge.
I giovani dei movimenti verdi (Greta Thunberg e altri avevano manifestato in sostegno della direttiva a Strasburgo e oggi l’attivista era presente fra il pubblico), ma anche 6000 scienziati europei, numerosi accademici e oltre 1 milione di cittadini avevano già firmato un appello per il “sì”.
Adesso con il tratto finale della legge, il negoziato del Trilogo (Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue) da cui uscirà il testo della legge, che gli Stati membri faranno proprio e attueranno, si aprirà una fase nuova, piena di speranza per la natura europea e una maggiore salute delle nostre società.
Tra l’altro, al di là delle ovvietà o dei sentimentalismi ecologici, ogni euro investito nel ripristino della natura, secondo gli studi della Commissione europea, produrrà un ritorno tra i 9 e i 38 euro sotto forma di servizi ecosistemici migliori, e questo è solo uno degli esempi di come questa legge può davvero cambiare in meglio la storia europea.
In estrema sintesi la legge prevede, con obiettivi vincolanti per gli stati membri, di ripristinare il 20% delle aree terrestri e marine in modo da fermare la perdita di biodiversità entro il 2030 con misure di ripristino della natura e successivamente estendere lo stesso concetto a tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. Un obiettivo per garantire sicurezza alimentare, resilienza climatica e salute e benessere per popolazione, fauna e flora.
Fra i passaggi più importanti della Nature Restoration Law la volontà di ridurre pesticidi chimici del 50% entro il 2030, l’aumento delle aree protette, gli sforzi per salvare gli impollinatori, ma anche l’idea di garantire nessuna perdita di spazi verdi urbani entro il 2030 e programmare un aumento del 5% entro il 2050.
Ma non è tutto, tra gli altri provvedimenti vincolanti, è previsto “un minimo del 10% di copertura arborea in ogni città”, la riumidificazione delle torbiere prosciugate e che ci aiutano nell’assorbire carbonio, diverse azioni per l’aumento della biodiversità nei terreni agricoli, il ripristino degli habitat nei fondali marini o la rimozione delle barriere fluviali per liberare 25mila chilometri di fiumi in modo da prevenire disastri durante le alluvioni. Ogni stato membro dovrà sviluppare piani nazionali di ripristino con una precisa rendicontazione di quanto fatto.

Adesso, per usare un gergo calcistico, la palla passa ai Governi nazionali che dovranno recepire normativamente la Nature Restoration Law.
Purtroppo in Italia ci troviamo di fronte ad un panorama variegato, non solo dal punto di vista parlamentare ma anche per la presenza di Regioni a Statuto speciale o ad autonomia parziale.
La preoccupazione che, come al solito è lecita, è che, nel variegato panorama italiano e nella ancora scarsa coscienza e quindi sensibilità al problema, le dinamiche per il recepimento degli indirizzi dell’UE si perdano nei meandri di una politica poco attenta e consapevole della gravità del problema.
Basti pensare che in Italia, presso il Senato, è stata depositato il 15 giugno 2022 il Disegno di legge n. 2213, inerente “Disposizioni per il sostegno all’agroecologia e per la tutela del settore agricolo, forestale e rurale” ma che a tuttora è arenato nei meandri di una politica in tutt’altre faccende affaccendata.
Le cose vanno meglio in Sicilia che è invece divenuta la prima Regione europea ad essersi dotata di una legge sull’agroecologia (L.R. 21 del 29 luglio del 2021) inerente “Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura. Norme in materia di concessioni demaniali marittime”.
Purtroppo, a tutt’oggi gli Assessori che si sono succeduti, dal momento dell’approvazione alla data odierna, non sono riusciti a mettere una firma sul Decreto Attuativo che è già stato ratificato dal competente tavolo del Dipartimento Agricoltura della Regione siciliana.
Se la Regione siciliana, applicasse la predetta L.R. 21 del 2021 (con l’approvazione del decreto) gran parte del lavoro della Nature Restoration Law del Parlamento Europeo sarebbe già fatto.
Basti pensare che se entro il 2030 solo il 10% delle aziende agricole assumesse l’impegno di convertirsi in sistema Agroecologico, avremmo risultati sorprendenti.
Ricordiamo qui che, secondo gli ultimi dati ISTAT, la SAU siciliana è di 1.387.521 Ha. Applicando solo gli obblighi di cui alla lettera a) del comma 3 della L.R. 21/2021 avremo i seguenti dati:
– 1.387.521 x 10% (aziende che aderiscono) x 10 % (superficie da impiantare) = 13.875,21 Ha di nuove superfici arboree. Ponendo un sesto forfetario di 5 metri in quadro avremo: 13.875,21 x 10.000 m2/25 = 138.752.100/25 = 5.550.084 di nuovi alberi (con specie autoctone).
A tal proposito si evidenzia come un albero adulto immagazzina circa 167 kg di CO2 all’anno, o 1 tonnellata di CO2 all’anno per 6 alberi adulti. Ciò significa che più di 33 alberi dovrebbero essere piantati ogni anno per compensare le emissioni di CO2 di un singolo cittadino.
Quindi se solo il 10 % delle aziende transitasse verso l’agroecologia, compenseremmo circa le emissioni di 166.000 cittadini siciliani.
Se l’agroecologia fosse applicata da tutte le aziende avremmo 55.000.000 di nuovi alberi, compensando le emissioni di oltre 1.600.000 abitanti della Sicilia. Dati incredibili.
Inoltre, sempre secondo il comma 3 della L.R. 21/2021, che prevede nelle aziende agricole una superficie minima del 5 % per specie vegetali impollinatrici, se solo il 10 % delle aziende transitasse verso l’agroecologia avremmo poco meno di 7.000 Ha di flora utile per gli impollinatori; una superficie pari alla dimensione media di un Comune siciliano.
La presenza, inoltre, delle specie e razze autoctone andrebbe a ripristinare degli habitat agricoli fortemente compromessi ed alterati.
Insomma la sola approvazione di un decreto, con tutti i vantaggi che darebbe alla transizione ecologica delle aziende agricole siciliane permetterebbe, oltre che alla velocizzazione delle strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 dell’UE anche l’applicazione della Nature Restoration Law del Parlamento Europeo.
La domanda a questo punto, come diceva un noto presentatore, sorge spontanea: riusciranno i nostri Governi a cavare il cosiddetto ragno dal buco (dando seguito all’applicazione delle varie norme) o dobbiamo pensare che è giunto il momento in cui le organizzazioni nazionali e siciliane (in questo caso) facciano fronte comune, come è avvenuto a Strasburgo, per spingere questa inerte locomotiva politica?
Io protendo per la seconda ipotesi, dobbiamo essere cittadini con una nuova coscienza politica, lasciandoci alle spalle le lamentele e spingendo verso il traguardo il treno della politica. È l’unico motore che può spingerlo.

Guido Bissanti

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo: Momento storico (antropocene.it)